«Un fatto grave, ma non andiamo a strumentalizzare a fini politici l'origine etnica degli arrestati, i due stranieri»
E secondo lei invece dove sta il vero problema?
«Fatti come questo dimostrano che l'attuale modello di sicurezza non è valido, in funzione dei nuovi organici e di competenze specifiche».
Mauro Guaetta, 44 anni, dal 2009 segretario generale a Milano del Siulp - il massimo sindacato di polizia (in tutta Italia circa 26mila iscritti) - fa il punto della situazione dopo quanto accaduto giovedì sera al Parco Sempione, dove un gruppo di senegalesi ha aggredito una pattuglia mista, composta da due poliziotti e tre militari.
Allora? Cosa non ha funzionato l'altra sera?
«È del tutto evidente che il sistema di pattugliamento misto da solo non è garanzia di sicurezza. Si pone il problema di come difendere in maniera appropriata e funzionante le grandi città. Se l'attuale modello non è valido, bisogna provare a ridisegnarlo in funzione del nuovo organico e di competenze specifiche».
Si spieghi.
«In Italia abbiamo 97mila poliziotti, a Milano sono 5mila. Mi spiace dirlo, ma i militari non hanno la nostra formazione, non sono abituati ad approcciare l'ordine pubblico come garanzia della sicurezza delle persone in assoluto. Infatti le grandi metropoli europee impiegano anche i soldati solamente in occasione di attacchi terroristici».
Lei vuol dire che se il senegalese fosse riuscito a strappare il fucile al militare ci poteva anche essere una carneficina?
«Non lo so. Io ribadisco che fatti come questo non possano che sottolineare il modo sbagliato in cui è stato ridistribuito il nostro personale dal sindaco Moratti. Deve pensare che abbiamo 17 commissariati che non hanno seguito la ridistribuzione dei 9 municipi».
Ma la Moratti si adoperò per l'apertura del commissariato Lorenteggio e Villa San Giovanni nel 2007, in un periodo in cui la microcriminalità, soprattutto lo spaccio sotto casa, aveva reso invivibile l'esistenza dei milanesi nelle periferie...
«Sì, ma si tratta di una visione superata del controllo della criminalità. Una volta si pensava che tenere aperto un commissariato in più costituisse una garanzia di sicurezza. In realtà prevede un impiego di personale interno notevole e che purtroppo, in questo modo, viene sottratto ai servizi di controllo del territorio. Il personale deve stare in strada. E parlo di forze di polizia come noi, polizia di stato, carabinieri e uomini della guardia di finanza. Siamo a noi a poter andare in mezzo alla gente, a rapportarci con loro e solo noi possiamo garantire l'ordine e la sicurezza pubblica come si deve. La massima autorità provinciale tecnica di sicurezza, infatti è il questore».
Dunque meno commissariati e più polizia in strada sarebbe la sua ricetta?
«La questione dei commissariati riguardava la razionalizzazione delle risorse. Dopo un periodo in cui l'orientamento era quello di chiuderli o accorparli, poi è prevalsa la decisione di aprirne sempre di nuovi convinti che avere più presidi in periferia, significasse aumentare la sicurezza. Niente di più sbagliato».
E il famoso Modello Milano?
«Bisogna cominciare a spiegare alla gente che il ben noto Modello Sicurezza di Milano non è più sostenibile, che bisogna ridurre i commissariati cittadini e renderli più efficienti. Altrimenti andiamo verso il collasso».
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