Coronavirus

"La sfida si vince con la cultura di governo"

Il coordinatore di Fi: "Senza vaccini si chiude. Chi non vede questo ha idee naïf"

"La sfida si vince con la cultura di governo"

Massimiliano Salini, coordinatore regionale, Forza Italia si è riunita per parlare di transizione, soprattutto sanitaria ed economica.

«Sì, il senso dell'evento e del nostro impegno è provare a collocare l'agenda di Forza Italia, regionale ma inevitabilmente nazionale trattandosi di Lombardia, all'altezza di queste sfide. La realtà è sempre in movimento ma il Covid rende questo movimento più cruento. Siamo qui a domandarci cosa accade. L'esito di questa due giorni è certamente coerente coi presupposti».

I vostri governatori hanno parlato della priorità: vaccinare. E lo stesso ha fatto Guido Bertolaso.

«È l'unico modo per non chiudere. Chi svicola i due fenomeni - i vaccini e la giusta richiesta di non tornare alle chiusure - ha un'idea un po' naif. Noi non abbiamo trovato la panacea, ma questo è l'unico strumento».

Fi è il partito più «draghiano»?

«Difficile trovare un criterio per misurarlo. Ma io fatico a trovare nelle decisioni del governo dei punti che non siano coerenti con i programmi di Fi in questi anni. È una convergenza che definirei preoccupante tanto è evidente. Nella maggioranza le ruvidità crescendo, in noi c'è una coerenza che altri non possono vantare».

Il centrodestra non si discute?

«Non c'è dubbio. Non sono quelli di governo i nostri alleati, sono Lega e FdI. Il senso di Forza Italia è essere baricentro del centrodestra».

Al centro non sarebbe attrattivo?

«Non per gli italiani. Forza Italia non è nata per dare continuità alla Dc, ma per portare la cultura liberale fuori dai salotti, nella realtà. Se dovessimo immaginare strade diverse non faremo altro che divorare i presupposti su cui si è fondato il nostro movimento».

Il voto a Milano è andato male.

«Non giudico i candidati, ma è come se, quando il centrodestra si stacca dall'identità conferitagli da Berlusconi, quando manca questo pilastro culturale e antropologico, vi fosse una crisi. Senza questo il centrodestra è orfano e si aggrappa ai voti, con ossessione timorosa e complessi di inferiorità. Berlusconi gli ha dato equilibrio, identità e digeribilità in tante sedi. Quando manca questa premessa ai candidati, gli italiani lo sentono subito».

Vale per le Regionali del 2023?

«In forma diversa. Al Nord si vince con più facilità. C'è una tradizione che dimostra che non c'è alternativa al centrodestra. Però io penso che si arrivato il tempo di rimettere a tema la necessitò di una guida esplicitamente coerente con la nostra proposta».

Sta dicendo che non necessariamente il candidato sarà leghista?

«Non nego che l'atteggiamento dei governatori leghisti dimostra di essere perfettamente in linea con questa impostazione. No, non c'è un problema di alternanza. Anzi, non nascondo che oggi per noi è molto molto facile sostenere Fontana, Zaia e Fedriga».

I capoluoghi di provincia al voto?

«Siamo convinti che non valga la pena variare la geometria esistente, è evidente che alle amministrative ci si può concedere qualche fuoripista perché vi è una forte presenza civica non qualificata politicamente.

Questo garantisce una maggior flessibilità ma lo schema di gioco resta il centrodestra».

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