Il sipario si alza sul corpo Storia di un falso scandalo

Dalle performance degli anni '70 di Marina Abramovic alle "Bestie" sul palco di Emma Dante

Il sipario si alza sul corpo Storia di un falso scandalo

Nel 2012, al PAC di Milano, un pubblico numeroso, composto da intellettuali, artisti, e anche curiosi, assistette, tra partecipazione e incredulità, alla performance di Marina Abramovic, per il quale, lei aveva creato tre tipi di «oggetti transitori», uno per sedersi, uno per stare in piedi, e uno per sdraiarsi, mentre in quella occasione, per la prima volta, aveva usato il «Metodo Abramovic» per preparare il pubblico a partecipare, facendogli indossare camici bianchi da laboratorio e cuffie insonorizzate.

Il «metodo» consisteva nel rendere «performer» il pubblico stesso, oltre che nel farlo partecipare come testimone. Venticinque persone per volta venivano fatte sedere, sdraiare o stare in piedi per trenta minuti. Nel 2012, Marina aveva 66 anni e stava raccogliendo i frutti di una storia iniziata negli anni Settanta, tra molte difficoltà economiche, quando la Performance Art e la Body Art avevano un senso, essendo nate come forme di opposizione e in certi casi di ludibrio, nei confronti di tutte le istituzioni codificate, sia politiche che artistiche, incapaci di rinnovarsi.

In teatro, proprio in opposizione agli Stabili, accusati di produrre spettacoli eccelsi e gradevoli dal punto di vista formale, in Italia, erano nate le cooperative, gli spazi alternativi, le cantine, mentre nel mondo si affermavano il teatro di strada, quello performativo e quello che utilizzava la nudità con scopi dichiaratamente politici e non estetici. In un volume pubblicato da Bompiani, Attraverso i muri la Abramovic racconta la sua vita professionale, le difficoltà delle origini, i debutti in Europa, la presenza in Italia, nel 1973 a Roma, per «Contemporanea» in occasione di una mostra organizzata da Achille Bonito Oliva, quindi alla galleria Diagramma di Milano dove nel 1974 aveva presentato «Rhythm 4», davanti a un pubblico sempre più numeroso, tanto che l'anno successivo è lo studio Morra di Napoli ad ospitarla, lasciandola libera di inventare: «Vieni qui e fai quello che vuoi».

I presenti all'evento, ancora oggi, testimoniano la sua capacità di utilizzare la «trance» e di fare in modo che anche il pubblico divenisse sempre più attivo, «come in trance». In quegli anni, la performance aveva un significato provocatorio, vantava dei veri e propri artisti come Vito Acconci, Gina Pane, Chris Burden, James Lee, Frank Laysiepen, detto Ulay, diventato collaboratore di Marina, oltre che l'amore della sua vita, con cui creò delle performance estreme, durante le quali, si trafiggevano le carni, si tatuavano la pelle, si tagliavano con le lamette, con la volontà di creare uno spazio di collisione, mettendo in relazione «il tocco» e «lo scontro», oltre che le due nudità, quella maschile e quella femminile, come per dire che la performance è la realtà, mentre il teatro è falso.

Storicamente, i movimenti di avanguardia non hanno vita lunga, anzi quando si moltiplicano ne preannunciano la fine. Negli anni Ottanta, la stessa Marina Abramovic, davanti al moltiplicarsi dei performer, ebbe a dire: «Uno sputa per terra e si diceva che era una performance».

Fu più feroce Lisa Levy che, proprio in occasione di una performance della Abramovic, al Moma di New York, 2010, ebbe a dire: «È ora di finirla con queste cavolate».

Riscoprire il nudo oggi, come ha fatto Emma Dante nello spettacolo prodotto dal Piccolo Teatro, agli occhi della Abramovic, sarebbe un anacronismo, apparterrebbe al tempo che fu che le avrebbe dato un senso, che è quello della necessità.

Un Teatro che conta è sempre un Teatro necessario.

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