Sottomesse

Sottomesse

Una giovane ritirata dalla sua scuola in Brianza, portata in Pakistan e lasciata senza documenti. Trattenuta e ostaggio di una vita che non vuole, ma che le viene imposta. È l'ultimo caso di una lunga serie. Anche in Italia molte ragazze vengono maltrattate, minacciate, ripudiate o addirittura uccise perché vogliono vestirsi e vivere all'Occidentale, mentre i clan le vogliono sottomesse alle logiche patriarcali e a presunti «obblighi» pseudoreligiosi. Sono Hina, Sana, Menoona, passando per la quattordicenne di origini marocchine che a Pavia accusa la famiglia di vessazioni per i suoi comportamenti «troppo occidentali». E il tutto accade nel silenzio, o quasi, delle femministe, che hanno una sola preoccupazione: difendere il «diritto» di chi «vuole» portare il velo.

La ragazza simbolo: sepolta in giardino rivolta alla Mecca

La ventenne pakistana Hina Saleem vive a Sarezzo, nel Bresciano. È nata in Pakistan ed è emigrata in Italia a 14 anni, nel 1999. Hina lavora in una pizzeria e non vuole sposare quel cugino di Gujrat cui è stata promessa dal clan. Il fidanzato italiano denuncia la sua scomparsa. Quando viene ritrovata indossa ancora i jeans: è stata sgozzata con venti coltellate e sepolta nell'orto di casa con la testa rivolta alla Mecca. Uccisa perché «vuole vivere all'occidentale». Il delitto sconvolge l'Italia. Il padre e i due cognati vengono condannati a 30 anni di carcere. Il Giornale di Brescia, 11 anni dopo la morte, pubblica un articolo in cui si vede la tomba di Hina senza foto, trascurata e invasa dalle erbacce.

Non vuole sposare il cugino pakistano: strangolata dal clan

Sana Cheema, 25enne italo-pachistana, vive a Brescia e frequenta un ragazzo di origini pachistane. Muore nel suo Paese d'origine il 18 aprile 2018. Delitto d'onore. Secondo gli inquirenti locali, sarebbe stata strangolata dal padre e dal fratello dopo l'ennesimo rifiuto del matrimonio combinato organizzato dalla famiglia. Vene sepolta di tutta fretta nel suo villaggio, e ufficialmente è deceduta per un malore. Dietro pressione dell'Italia però, il caso viene riaperto. L'autopsia accerta che è stata strangolata, il padre e il fratello vengono arrestati mentre la madre e la zia sono indagate, ma a piede libero. Il cugino e promesso sposo viene fermato mentre tenta di lasciare il Pakistan.

Torna la ragazza tenuta in ostaggio in Pakistan. Ha chiesto aiuto alla scuola


Una ragazza di 23 anni residente a Bovisio Masciago (Brianza) viene ritirata da scuola, segregata e portata a forza in Pakistan per concludere un matrimonio combinato. La ragazza è in quarta superiore in una scuola di Cesano Maderno quando è costretta dai genitori a lasciare gli studi, a restare reclusa in casa e a partire per il Paese d'origine, dove deve sposare suo malgrado un uomo scelto dalla famiglia. Privata del permesso di soggiorno e del passaporto, abbandonata in Pakistan, la ormai ex studentessa vive in condizioni di soggezione e da quella prigione invia una lettera alla sua ex scuola. Chiede aiuto, vuole tornare in Italia. Ricevuto il messaggio, la scuola di Cesano Maderno denuncia l'accaduto alle forze dell'ordine e - attraverso la prefettura - investe della questione anche il ministero degli Esteri. «Vi prego aiutatemi - scrive - mi hanno preso tutti i documenti e mi hanno lasciata qui». La Farnesina interviene: si interessa personalmente del caso il ministro degli Affari Esteri Enzo Moavero Milanesi, che mette in moto la nostra ambasciata a Islamabad, in stretto raccordo con la Farnesina. Ieri mattina il ministro conferma che la giovane Menoona Safdar, trattenuta contro la propria volontà in Pakistan dalla sua famiglia, si è appena imbarcata su un volo diretto in Italia. «Questa vicenda finisce bene, ma non dimentichiamoci che Menoona per oltre un anno è rimasta ostaggio in Pakistan della propria famiglia» dichiara il deputato Paolo Grimoldi, che ha sollevato il caso.

È troppo bella e già promessa: viene segregata


Nel 2011 scoppia il caso di «Jamila». Il nome è di fantasia, tutto il resto è un incubo realmente accaduto. La ragazza ha 19 anni, è pachistana. «Temo di fare la fine di Hina» confida un giorno alla sua giovane insegnante. La ragazza da circa due settimane non frequenta più l'istituto professionale: la sua bellezza non passa inosservata, nonostante gli abiti tradizionali e il capo coperto, così la famiglia decide in pratica di segregarla, anche perché è già promessa, soprattutto per ragioni economiche, a un cugino che vive in Pakistan. Stavolta, grazie al clamore della vicenda, il matrimonio combinato non va in porto. Jamila torna a scuola dopo l'intervento della Questura e dei mediatori sociali.

La sposa bambina salvata dalla madre. Denunciato il papà


Una sposa bambina: il suo destino è questo. La piccola Shaila (nome di fantasia) ha 10 anni e per lei si prepara un destino che la accomuna a molte coetanee. Il padre padrone ha pianificato tutto: la darà in sposa a un parente in Bangladesh. Ma stavolta qualcosa blocca i clan: è la madre, a sua volta sposata a suo tempo con un'imposizione familiare. La donna vuole risparmiare alla figlia un destino simile al suo.

È contraria e al culmine dell'ennesima lite col marito strappa il passaporto suo e della figlia. L'uomo corre al consolato per ottenere un duplicato, la moglie però lo denuncia per maltrattamenti. Madre e figlia ottengono ospitalità in una casa accoglienza, seguite dai servizi sociali.

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