Simone Finotti
Farini, incuneato nella città, ponte naturale fra centro e periferia dove sorgerà il terzo parco più esteso di Milano, ora guardato con interesse dall'Accademia di Brera che pensa di aprirci un campus delle arti; San Cristoforo, lungo cannocchiale verdeggiante tra il Giambellino e Corsico dalla chiara destinazione naturalistica (e infatti si pensa a un'oasi che occuperà l'intera area); Porta Genova, lingua di terra che fiancheggia i Navigli rianimata le scorse estati dal Mercato metropolitano; Porta Romana, confine fra passato e presente ancora in cerca di una sua identità fra concerti, eventi culturali e progetti di integrazione con il tessuto urbanistico. E ancora Greco, Lambrate, Rogoredo, altrettanti baluardi che presidiano il confine orientale della metropoli, fra zone abbandonate e aree in cui ancora passano i treni. Sono i sette scali ferroviari dismessi, oltre un milione e 200mila metri quadrati carichi di abbandono. Spazi indefiniti, tutti da reinventare e perciò ricchi di possibilità, a partire dall'accordo di programma siglato poco più di un anno fa per cercare soluzioni condivise. Laboratori di una «città in potenza» che parlano al contempo di Milano che non è più e di quella che sarà.
Per questo, nei mesi scorsi, sono finiti nell'obiettivo di due fotografi, Marco Introini e Francesco Radino, per una campagna inedita che è diventata una mostra: Gli scali ferroviari di Milano. Oggi, prima di domani, aperta fino al 28 dicembre negli spazi della Casa dell'Energia e dell'Ambiente di piazza Po 3, ideata e organizzata da Fondazione Aem-Gruppo A2a (in attesa della riapertura degli archivi storici) e curata dai due autori e Francesco Trisoglio. Oltre 80 le immagini, in un dialogo continuo fra interno ed esterno, natura e intervento umano. Introini predilige il bianco e nero, e riflette soprattutto sugli aspetti architettonici. La sua ricerca si muove sulle tracce della città otto-novecentesca, e sui loro punti di collisione e contatto con la Milano del nuovo millennio, mentre Radino, con il colore, ci accompagna all'interno delle strutture con uno sguardo altrettanto poetico che pone l'accento sulla memoria.
Mettiamo una accanto all'altra le due letture dello scalo Farini: Introini lo guarda da via Valtellina, seguendo i binari del tram che, idealmente, riprendono il senso di fuga all'infinito delle rotaie ferroviarie; Radino risponde inoltrandosi nelle banchine in disuso, ormai sfiorate dalla vegetazione che si riprende i suoi spazi. Il complesso di costruzioni di Porta Genova, da via Bergognone, assomiglia a un mastodontico domino in bianco e nero, mentre Rogoredo, sullo sfondo di un cielo plumbeo, mostra tutte le contraddizioni e il disordine del degrado. Il volume curvilineo di Greco-Pirelli, visto da Introini dalla prospettiva di via Sesto, contrasta con il «fungo» rugginoso del silo di Porta Romana, scalato da intrecci selvaggi di rampicanti. Uno spazio immenso e desolato, quello di Porta Romana, ulteriormente allungato dalla prospettiva impietosa scelta da Radino per uno degli scatti più evocativi del percorso espositivo; le geometrie razionali dei capannoni di Lambrate inquadrati da via Bistolfi richiamano quelle di San Cristoforo, ridotte a scheletri di cemento e acciaio.
Aree che un tempo contribuirono allo sviluppo industriale e alla crescita di popolosi quartieri, e oggi rappresentano un tema-chiave per il futuro di Milano. La mostra si inserisce nei palinsesti di Photofestival e Novecento Italiano. Orari: lunedì - giovedì dalle 9 alle 17.30, venerdì dalle 9 alle 14. Chiuso dal 4 al 19 agosto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.