«Sul palco porto la morte di cui possiamo ridere»

La regista racconta la sua piéce al Parenti «Dobbiamo riscoprire il ricordo, con ironia»

Antonio Bozzo

Dove sono i vivi di un tempo? Se n'è persa la memoria, come delle nevi cantate dal poeta Villon? «Proviamo a pensare ai nostri cari scomparsi», dice la drammaturga Lucia Calamaro, al Parenti fino al 28 con il suo testo «La vita ferma», di cui cura la regia. «Andare indietro di dieci anni è difficile per tutti. Una cultura come la nostra che ha sospeso il rituale - a partire dal riposo della domenica, diventato giorno lavorativo come gli altri -, non è più capace di ricordare i defunti, come invece andrebbe fatto».

Vuole farci frequentare i cimiteri? Magari dopo aver riletto i Sepolcri di Foscolo?

«Non ho intenzioni pedagogiche. Ma mi piacerebbe che la potenzialità mentale di trattenere i morti in vita, nei nostri pensieri, non andasse a diminuire. Il mio però è un sentire privo di giudizio, che parte dal senso di colpa provato dai vivi. Credo che a tutti debba dispiacere lo sfinimento del ricordo».

Come si può ricordare meglio?

«Servono i tempi lenti. Oggi tutto è diventato lavoro, si corre senza tregua. Bisogna ritrovare anche la dimensione del ricordo, che significa fermarsi, accasciarsi in poltrona, guardare in giro, rincorrere le immagini della nostra vita con chi non c'è più».

In scena c'è una famiglia: madre, padre, figlia. Ma la madre è un fantasma che vuole il suo posto tra i vivi. Un assurdo?

«Sì, un'assurdità. Il sottotitolo di questi miei tre atti è 'un dramma del pensiero', non è dunque un dramma dell'anima. E non esiste pensiero intelligente se non è sposato con l'ironia. Chi viene allo spettacolo ride, ride molto. Non per una scelta drammaturgica comica, ma proprio per via dell'assurdità. Lo scriva, per favore, che si ride: leggo articoli tutti puntati sulla morte».

Che però resta il centro dello spettacolo. Sbagliamo?

«No, ma c'è un modo anche divertente di toccare un tema totalmente rimosso. Non saremo mai immortali, solo la manutenzione dei ricordi farà sì che ci si rammenti di noi, una volta finiti».

Come esce lo spettatore? Sotto choc?

«Posso dirglielo, visto che abbiamo già fatto un bel po' di repliche nel resto d'Italia. Si esce portandosi dietro una riflessione che tocca la nostra vicenda personale. Una sorta di risveglio di una zona assopita del pensiero».

Lei non è tenera verso il teatro di oggi. Come mai?

«Diciamo che non subisco il fascino dei miei colleghi. Credo nel potere della parola, ma non solo a teatro. È uno strumento infinito, che deve essere curato con amore. Anche leggendo, magari Eccomi di Safran Foer, che ho sul comodino».

«La vita ferma» (complimenti per il titolo) è

interpretato da Riccardo Goretti, Alice Rendini, Simona Senzacqua. Al Parenti fino a domenica, permette di scoprire una della drammaturghe più importanti della nostra (asfittica?) scena teatrale. Un peccato non approfittarne.

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