È sul web che nasce il nuovo bullismo

Nove ragazzini su 10 hanno ormai un «profilo» in rete. La metà ammette che i genitori non hanno mai dato neppure una sbirciatina a quello che fanno on line e il 66 per cento va ancora oltre: «papà e mamma? neanche sanno che sono facebook», rispondono. Eppure l'80 per cento usa la rete per «comunicare», spesso già dalle elementari. Un «passatempo» in cui il rischio di avere a che fare con il cyberbullismo è sempre più concreto. A domanda precisa infatti, neanche il 10 per cento dei ragazzini ammette di essere mai stato coinvolto, in epidosi di sopraffazione e prepotenza né da aggressore né da vittima. Ma poi il 30 per cento ammette invece «di avere visto o di sapere di studenti che hanno pubblicato materiale che minaccia violenza». È il quadro che risulta dalla ricerca dell'associazione milanese «Chiamamilano» su 2785 studenti milanesi tra i 12 e i 20 anni. Ed è stato proprio quello del cyberbullismo uno degli aspetti sottolineati ieri al convegno organizzato a Palazzo Marino al quale sono intervenute istituzioni, organizzazioni del privato sociale e magistrati. Tutti attorno a un tavolo sul quale purtroppo non ci sono dati aggiornati. Non esiste una «fotografia» nuova del bullismo, sempre più «cyber» e sempre più rosa. Negli ultimi anni infatti sono triplicati i casi aggressività tra ragazzine. Ma pur senza dati recenti risulta che Milano insieme ad alcune città della Sardegna è la città in cui il bullismo è più diffuso. Così è stato firmato un protocollo di intesa tra tutti i soggetti coinvolti che, per quanto riguarderà il Comune di Milano vorrà dire «collaborare con le scuole, le autorità giudiziarie, i soggetti del privato sociale in attività volte ad approfondire la conoscenza del fenomeno e la prevenzione sul territorio». Già, perché come è stato ribadito dal magistrato Fabio Roia moto spesso dietro un giovane criminale c'è un passato da bullo. È solo di qualche settimana il caso di quello che è stato definito il piccolo Vallanzasca, 14 anni, già una decina di reati contestati sulle spalle e un passato da bullo mai arginato. «Troppe volte si tende a sottovalutare il problema del bullismo licenziandolo con un approccio culturale molto superficiale, laddove al contrario occorrerebbe intervenire sul mondo degli adolescenti, sui loro primi atteggiamenti devianti», ha detto. Il bullismo come esordio di attività criminale. E il «cyberbullismo», oggi come strumento principale per mettere in atto la prepotenza. Nella ricerca di Chiamamilano è evidente che il 90 per cento dei ragazzi viaggia su internet e il 15 per cento ammette di essere rimasto coinvolto negli ultimi sei mesi in dispute on line. Tutto questo senza che i genitori si accorgano di nulla. E neppure gli insegnanti, impreparati e senza strumenti per accorgersi di quei primi importantissimi segnali. La scuola a volte si tappa un po' gli occhi - è stato sottolineato - perchè altrimenti si fa «la reputazione di una scuola di bulli». Così spesso proliferano piccoli prepotenti e di conseguenza piccole vittime. È importante riconoscere i segnali apparentemente inspiegabili: disagi, esclusioni, la formazione di gruppetti. Col cyberbullismo poi è ancora più facile.

Spiega Roia: «Il bullo si nasconde dietro a uno schermo, umiliare la vittima e divulgare materiale offensivo a un vasto pubblico e in modo anonimo, senza neppure la paura di essere scoperto o punito. Bisogna incominciare a dire anche attraverso la scuola, che la rete può diventare un luogo pericoloso».

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