Coronavirus

"Tamponi, dalle aziende più reagenti"

La responsabile del laboratorio regionale: "Chi può converta la produzione"

"Tamponi, dalle aziende più reagenti"

Elena Pariani, docente di Igiene generale e applicata all'Università degli Studi, dove coordina le attività di ricerca del laboratorio di riferimento della regione Lombardia per la sorveglianza virologica dell'influenza. I laboratori lombardi hanno lanciato l'sos sul le scorte dei reagenti per i tamponi. Com'è la situazione?

«I laboratori sono alla prese con lo shortage di reagenti. In particolare manca il reagente che permette di estrarre degli acidi nucleici, per la prima fase della processazione del tampone».

Come fare?

«È un problema anche di metodo, non è che si possono usare reagenti qualsiasi, o meglio i laboratori si appoggiano ad aziende produttrici di reagenti che costituiscono un punto di riferimento metodologico».

Cioè?

«La sensibilità del metodo permette di intercettare un numero maggiore di positivi reali. Si tratta di una fase molto delicata del processo diagnostico».

È pensabile che aziende del settore chimico o farmaceutico convertano la loro produzione per produrre questi reagenti, come è successo per le mascherine?

«Il problema è che il processo dei tampone è gestito in automazione, servono quindi dei reagenti che siano compatibili con questi sistemi, diciamo Anche perché la modalità di lavorazione manuale sarebbe infattibile. Ci stiamo pensando».

Cos'è successo?

«Queste aziende sono leader nel settore, dopo l'emergenza italiana hanno avuto richieste da tutto il mondo e sono in sovraccarico. Stanno comunque implementando la produzione. Tanto per dare un'idea se fino all'anno scorso nel nostro laboratorio si facevano 1000 tamponi in un anno per il monitoraggio del virus influenzale, a oggi abbiamo processato oltre 5000 tamponi in poco più di un mese. In Lombardia ogni giorno si processano 10mila tamponi al giorno».

Per mappare il rischio del contagio in vista della Fase 2 sono necessari sia i tamponi che il test sierologico?

«Certamente, il tampone da solo non basta perché, come è noto, se un giorno un paziente è negativo, il giorno dopo potrebbe essere positivo se contrae il virus, ma non è pensabile fare tamponi a tutta la popolazione ogni giorno, visto che parliamo di 10 milioni di cittadini. Non sarebbe sostenibile, utile e sovraccaricherebbe i laboratori, a scapito magari di richieste di tamponi urgenti. Serve anche il supporto del test sierologico: in Lombardia si sta studiando un test che non dia solo riscontro qualitativo della presenza degli anticorpi nel sangue, ma anche quantitativo e in grado di rilevare quelli neutralizzanti ovvero capaci di contrastare il virus».

Che spiegazione si può dare dell'aumento dei contagi?

«Bisogna parametrare i dati assoluti al numero di tamponi.

Non bisogna dimenticare che a Milano il contagio è arrivato dopo rispetto a Bergamo o Brescia, quindi scontiamo un gap temporale».

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