Tangenti, manovre e veleni: il buco nero del provveditorato

L'inchiesta descrive l'ufficio di piazza Morandi come il centro della corruzione. Fin dagli anni '80

Corridoi sterminati, poltrone dove sprofondare, arredi in legno - e una atmosfera rarefatta e vagamente cupa. É qui, in piazza Morandi, in fondo a una strada senza uscita alle spalle di piazza Cavour, che si tirano le fila degli appalti pubblici in Lombardia.

Qui approda il gioco di potere e di raccomandazioni che ha portato in carcere Mario Mantovani, vicepresidente della Regione Lombardia. Le pressioni - o forse solo i consigli, le sollecitazioni, banalmente le raccomandazioni - a favore di Angelo Bianchi, ingegnere in odor di mazzette, hanno fatto contestare all'ex senatore di Forza Italia l'accusa di concussione. Ma a colpire, nelle pagine del mandato di cattura, è il ritratto che emerge di un ufficio cruciale come il Provveditorato: un luogo che dovrebbe essere il tempio della trasparenza, e dove invece si consumano manovre, alleanze, veleni. E dove la corruzione è talmente di casa che il provveditore Pietro Baratono - lo racconta lui stesso al pm Giovanni Polizzi nel corso di un interrogatorio- al momento di venire spedito a Milano si vide consegnare un curioso elenco: «Prima di assumere le funzioni mi furono mostrati presso la direzione del personale del ministero i fascicoli relativi alle pendenze giudiziarie di alcuni funzionari del provveditorato che sarei andato a dirigere». Tra questi, quello di Bianchi. «Rimasi sorpreso dal contenuto degli atti a decisi, non conoscendo ancora alcuno di loro, di farmi un giudizio personale nei mesi a seguire, indipendentemente dalle rispettive vicissitudini giudiziarie, attraverso la conoscenza diretta».

A Milano, d'altronde, Baratono era stato spedito per un motivo preciso: il provveditore precedente, Franco Errichiello, era stato spostato d'urgenza dopo essere finito anche lui sotto inchiesta per estorsione. Negli ovattati corridoi di piazza Morandi, il nuovo provveditore trova un clima pesante. Alfio Leonardi, il dirigente che sta reggendo l'ufficio in attesa del nuovo capo, ha tolto a Bianchi tutti gli incarichi con un ordine di servizio. E Bianchi è corso a lamentarsene con Giacomo Di Capua, braccio destro di Mantovani, con una telefonata che fa capire bene quale sia l'andazzo in provveditorato: «Io ti dico una sola cosa, io subisco in base a un ordine di servizio vecchio, subisco un danno di ventimila euro in termini di articolo 92». Cos'è l'articolo 92? Fa parte della legge del 2006, il Codice dei contratti pubblici, e in un linguaggio assai astruso consente che i funzionari dei provveditorati, nonostante siano già pagati a tempo pieno come dipendenti del ministero, incassino somme ulteriori per ogni progetto che seguono direttamente. È la spartizione di questo ricco benefit a muovere molti degli scontri interni al potente provveditorato.

Ma non a tutti basta il benefit, e così da sempre, al provveditorato c'è chi casca nella tentazione della «stecca» in contanti. A dare il buon esempio sono quasi sempre i capi dell'ufficio. Fin dagli anni Ottanta, quando il giudice istruttore Antonio Lombardi scoprì che il provveditore Fortunato Nigro prendeva tangenti da Bruno De Mico per gli appalti delle supercarceri. Nigro nel frattempo era stato scappato in Svizzera, inseguito da un mandato di cattura perché scoperto a prendere tangenti anche da un'altra azienda, la Comec, e così al suo posto era stato messo il suo collega Carlo Via, che si era immediatamente adeguato, iniziando anche lui a farsi pagare sottobanco da De Mico.

Appena il tempo per il governo di sostituire anche Via, e nel 1992 il nuovo provveditore Giuseppe Marino viene arrestato anche lui. Nel 2008 tocca a Bianchi: lo sveglio, l'efficiente Bianchi, arrestato per corruzione sui cantieri in Valtellina. Sono passati sette anni, e il processo è ancora in corso.

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