Tragedia lirica e mito la leggenda va in scena

Civiltà del mito, le sue leggende. Tutto cambia, pure l'idea di narrazione, che nell'antichità possedeva un'aurea di religiosità: saghe, dei, storie che traghettavano vicino al «vero». «Nella modernità - spiega Maddalena Mazzocut-Mis, 49 anni, docente universitaria di Estetica, saggista e drammaturga - il mito è alla deriva, ha perso il suo alone di sacralità».
E non è poco: una minaccia per le origini della nostra cultura? In zona ellenica direbbero laloume, parliamone. A Milano due giorni di convegno alla Cattolica e in Statale (4 e 5 novembre) e la pièce - prodotta da Atevox e dall'Accademia Perosi di Biella - «Elena-Tragedia lirica sulla deriva del mito», dal 5 al 9 al teatro Elfo Puccini (info: 02.00660606), con le musiche del compositore milanese Azio Corghi. La guerra di Troia, con storie di ordinario adulterio. Tre figure femminili Medea, Ecuba e al centro lei, Elena. «La bellezza, la seduzione, un personaggio non solo positivo, con la sua avvenenza portatore di sciagura», spiega Mazzocut-Mis, autrice del testo. Elena che scappa con Paride, la distruzione di un popolo, Elena maledetta; non solo Omero ne ha scritto: per certi narratori diventa un fantasma («hai abbracciato l'arcobaleno...»), per altri l'eterna infedele che, perdonata da Menelao, in età matura scappa con un giovane. Recidiva.
«Nel mio lavoro assorbo un po' tutto - continua la professoressa -, la storia si cala nella modernità».
Elena di oggi è una donna borghese, forse degli anni Settanta, consapevole della propria fatale bellezza che nella vicenda teatrale porta morte, dolore e lutti familiari. Ritratto contemporaneo di una femminilità «algida che si riscalda davanti all'eros; donne che troveranno sulla loro strada sempre i Paride, i Menelao».
È il destino che si ripete.



Musica maestro: già, perché per un testo così ci voleva un grosso autore; la scelta è caduta su Corghi: «Per i materiali utili alla scrittura dei nove cori di Ecuba ho guardato al lavoro dello studioso ottocentesco Francois Auguste Gevaert, alle melodie dell'antica grecia che nel gioco compositivo cito, L'Epitaffio di Sicilo e L'inno al sole».

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