I riti vudù con cui le madame assoggettano le giovani nigeriane, costringendole a prostituirsi in Italia, potrebbero sembrare più vicini alla superstizione che a una reale gabbia psicologica. Ma per comprendere il loro potere coercitivo occorre una lente antropologica. Per questo il gup Guido Salvini ha, per la prima volta in un processo su vicende di questo tipo, disposto una perizia affidata ad Alessandra Brivio, docente di Antropologia delle religioni alla Bicocca. Lo studio è stato determinante per arrivare alle condanne inflitte ieri dal giudice in seguito all'inchiesta condotta dal pm Adriano Scudieri sulla riduzione in schiavitù e lo sfruttamento di due giovani di 24 e 25 anni. La madame, una 45enne nigeriana detta Mama Shola, è stata condannata a otto anni di carcere (con espulsione a pena espiata). Il marito e la figlia, riconosciuti colpevoli dei soli reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, sono stati condannati rispettivamente a tre anni e a un anno e sei mesi. I fatti risalgono al 2016.
Per le difese, le ragazze sfruttate erano libere di uscire, di muoversi e quindi di scappare. Per il pm invece, e per la studiosa, erano sottoposte a «totale dipendenza» e controllo psicologico. Tanto che i carabinieri avevano provato a salvare una terza donna, che però all'ultimo momento ha avuto paura e si è tirata indietro. «Tutti in Nigeria sanno che il vudù uccide», dice una delle vittime riferendosi al complesso di credenze locali, che in Africa si chiama «juju», ritenuto potente e infallibile. Ecco il rito del giuramento: «Le ragazze coinvolte nella tratta, oltre a giurare, devono lasciare parte di sé al native doctor (il sacerdote, ndr): i capelli, le unghie, i peli pubici e a volte subiscono piccole incisioni sul corpo per prelevare del sangue». In questo modo lo «specialista rituale» ha «pieno controllo» su di loro. «Il native doctor - continua lo studio - in possesso di quelle parti del loro corpo, è in grado di agire su di loro e secondo le credenze locali di materializzarle al suo cospetto nonostante le migliaia di chilometri di distanza». Durante il giuramento la ragazza promette di restituire all'organizzazione una certa somma, convinta dai suoi sfruttatori che bastino sei mesi di lavoro sulla strada. Le regole fondamentali da rispettare, oltre all'obbligo di sanare il debito: non andare dalla polizia e non avere rapporti sessuali con il marito della madame. La pena: malattia, pazzia o morte per sé o per i familiari. Le due vittime parte civile nel processo (il giudice ha stabilito per loro una provvisionale di 50mila euro) in Nigeria vivevano «in posizione di forte vulnerabilità».
Dopo la «migrazione forzata» con la promessa di fare le commesse in Italia erano finite a prostituirsi a Milano Certosa dalle 10 alle 17 e dalle 21 alle 5 del mattino. Se si ribellavano, venivano picchiate. Conclude la studiosa: non era solo «schiavitù mentale» ma anche una «catena di inganni, di eventi violenti e isolamento sociale» che amplificava «la portata delle loro paure».
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