Tre colpi di pistola scuotono la quiete pomeridiana di Lodi in una fredda giornata di inizio novembre. Detonazioni udite distintamente da un paio di automobilisti e dai fedeli di una chiesa vicina. Molta gente accorre per vedere cosa possa essere successo e trovano a terra Giovanni Sali, carabiniere di quartiere. Qualcuno gli ha strappato la pistola d'ordinanza, ha premuto tre volte il grilletto e si è poi dissolto nel nulla, abbandonando l'arma per terra. Quando ammazzano uno di loro, i carabinieri si dannano per trovare l'assassino, quasi sempre ci riescono. Questa volta, a dieci mesi di distanza però, niente di quel tragico episodio è stato chiarito: quanti fossero gli assassini, se il militare sia stato ammazzato per aver accidentalmente visto, o trovato, qualcosa che non doveva oppure se fosse un agguato preordinato o se il movente andasse invece ricercato nell'ambito personale.
Le uniche cose certe che Sali, 48 anni, alle 17.30 del 3 novembre 2012 si stava aggirando nei vicoli di Lodi vecchia. Un controllo a due vetture, un'occhiata a un cortile interne. Poi gli spari. Gli investigatori procedono con i soliti protocolli: analisi scientifiche, accertamenti e interrogatori. Qualcosa viene sempre fuori. Ma non questa volta. Dalle telecamere non emerge nulla, dalle tracce biologiche e dalle impronte digitali repertate sul luogo del delitto, sulla divisa, sulla pistola, nemmeno; come del resto dall'analisi dei cellulari agganciati in zona. Mancano poi i testimoni: in parecchi hanno sentito le detonazioni ma nessuno ha visto un'auto sfrecciare via oppure degli uomini scappare.
Si riparte analizzando la dinamica del delitto. Salvi stava facendo il suo solito giro: prima la città Bassa, poi un salto in piazza della Vittoria e quindi ancora verso la chiesa della Maddalena. Imbocca via Della Maddalena, quindi svolta a destra nello stretto budello che si congiunge a via Indipendenza. Qui il carabinieri è stato bloccato, disarmato e ucciso con ogni probabilità nel corso di una breve colluttazione perché la pistola verrà trovata a fianco della vittima ancora legata con il cordino al cinturone. Ma da chi e soprattutto da quanti? Salvi è un omone grande e grosso, non è un sedentario, pratica la caccia e la pesca. Impossibile sopraffarlo così facilmente. Però sul suo corpo, a parte i due colpi di pistola che gli hanno trapassato il torace colpendolo al cuore e a un polmone, non ci sono ferite, ecchimosi, abrasioni. Ne la divisa appare strappata. Quasi il militare avesse volontariamente consegnato la pistola. Forse il killer non era solo. Forse gli sono saltati addosso in due o tre riuscendo a immobilizzarlo e poi «giustiziarlo».
Poi i probabili moventi. Il carabiniere stava controllando un paio di vetture, si approfondiscono gli accertamenti, ma non risultano rubate e dunque non sembrano proprio collegate al delitto. Magari la chiave del giallo è in quel cortile dove Sali era entrato. Nemmeno, il passato dei residenti viene rivoltato come un calzino, ma non emerge niente.
A quel punto si prova a scavare sulla sua vita privata. Anche i carabinieri delle volte hanno scheletri nell'armadio. Salvi era originario della provincia di Cremona e si era trasferito a Cavenago d'Adda nel 1985 quando aveva preso servizio a Lodi. Sposato con Nicoletta Caravaggio, dipendente comunale, aveva avuto due figlie, Erica ed Elena, di 22 e 16 anni. Poi la coppia era andata in crisi e si era separata. La moglie e le figlie si erano trasferite in un paese dell'hinterland lodigiano, lui era rimasto a Cavenago dove si era rifatto una vita con un'altra donna con cui viveva un'esistenza tranquilla e senza scossoni. Non aveva frequentazioni pericolose, debiti, particolari rancori. Il suo ruolo di carabiniere di quartiere non lo aveva certo portato a contatto con la criminalità organizzata, quella che quando dai fastidio non perdona.
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