(...) A quel tempo non fu facile leggere un episodio come questo. La figura di Martini si prestava a manipolazioni e fraintendimenti di ogni tipo, dai quali lui non fu sempre in grado di proteggersi. C'era chi lo esaltava, contrapponendo la sua statura intellettuale alla «rozzezza» di Karol Wojtyla, e chi vedeva in lui l'avversario di qualunque esperienza cristiana integrale, come se lui non sapesse che essere cristiani significa consegnare a Cristo, pezzo per pezzo, inesorabilmente, tutta la propria vita.
Ci fu anche chi, come Giovanni Testori - altro protagonista della Milano di quegli anni -, ebbe con lui una sorta di conflitto caratteriale.
Eppure quei terroristi consegnarono le armi a lui: segno che la Chiesa aveva ancora, con lui, un volto autorevole, di cui chiunque, in qualunque condizione si trovasse, poteva fidarsi.
Molti lo tacciarono di essere di sinistra, di essere legato culturalmente al mondo di «Repubblica», di preferire il tormento del dubbio - così «moderno» - alla certezza della fede.
Ma tutti questi discorsi si sono sgretolati come edifici di sabbia. Quello che conta è che Martini abbia saputo tenere aperte le porte della Chiesa in un momento come quello.
Un'altra iniziativa importante fu l'istituzione della «Cattedra dei non credenti». Martini non ha mai nascosto che la fede è un cammino drammatico, e che la tentazione del no a Dio è perenne in tutti noi. Occorre fare i conti con questa tentazione, non fingere che non esista. Anche su questo punto fu molto criticato, ma alla fine io penso che avesse ragione.
Con la fine della sua missione come arcivescovo di Milano e le prime avvisaglie della malattia che doveva ucciderlo, questa immagine di un uomo fatto forte proprio dalla debolezza, come dice San Paolo («Quando sono debole, è allora che sono forte per Cristo») si è definita ancora meglio.
Controverso come tutti i grandi personaggi (solo i mediocri piacciono a tutti), Carlo Maria Martini si innalza al di sopra delle insidie del tempo che ha dovuto attraversare. Forse non tutti i suoi amici sono stati veri amici, e forse qualcuno che non gli è stato amico avrebbe potuto esserlo molto di più.
La bellezza del cristianesimo è che, al termine di una vita, ci mostra l'uomo nella sua luce positiva: via le incomprensioni, via i dissidi, resta quello che un uomo ha dato al mondo. E quello che Martini ha dato (e dà) al mondo è l'immagine di una fede capace di vivere senza sconti ma anche senza cedimenti nel confronto leale con il mondo, nella certezza della vittoria finale di Gesù Cristo.
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