Uscire dall'eroina si può: storia di una 15enne salvata in extremis

A Milano, nel boschetto della droga di Rogoredo, ogni giorno decine di disperati spendono gli euro raccolti di elemosina per pagarsi una dose di eroina. Ma uscire dal tunnel della droga è possibile, come successo a una 15enne

Uscire dall'eroina si può: storia di una 15enne salvata in extremis

Farsi di eroina a 15 anni. E provare a uscire dal tunnel della droga, riuscendoci, grazie all'aiuto di un operatore sociale. È la storia, raccontata dal Corriere della Sera, di una ragazza milanese come tante, che in questi giorni ha compiuto 18 anni. Da quando si "faceva" con l'aiuto del fidanzato sembra passato un secolo. Era l'estate del 2015, precisamente il 16 luglio. Combattere la noia con una "pera", un'iniezione di eroina. Provare, perché no? "Ce l'ho qui, cosa vuoi fare", la proposta del ragazzo. "Va bene", fa lei.

Da quel giorno la sua vita cambia. I problemi tipici dell'adolescenza spariscono all'improvviso. Almeno sembra. Perché da quel momento, i piccoli drammi giornalieri (una relazione finita male, un brutto voto a scuola, la vacanza con gli amici negata dai genitori) lasciano il posto a una terribile dipendenza. Che ogni anno costa la vita a decine di persone, comprese quelle coetanee - Alice e Arianna - vittime negli ultimi mesi di un'overdose da eroina gialla. Nel 2015, quando inizia questa storia, Alice e Arianna erano ancora vive. E ancora non conoscevano gli effetti della droga. La protagonista di questa storia invece sì. "L’eroina ti annulla subito il dolore, uccide il disagio, cancella il mondo reale", racconta Chiara (nome di fantasia) circa il suo rapporto con la droga.

La sua prima volta si era consumata sul letto di casa. Parva sed apta, rifugium peccatorum. Ma la sede dei buchi successivi sarebbe stato il luogo più malfamato e pericoloso di Milano: il famigerato boschetto della droga di Rogoredo. "Mi facevo una o due volte la settimana, poi quattro, dopo la scuola, ma all’ultimo tutti i giorni, e anche più volte al giorno, perché tra una dose e l’altra stavo male. Non riesci ad aspettare, inizi a farti nei bagni sotto Rogoredo. Te ne fotti di tutto, giù in metro ci sono le scale, un angolino, io mi mettevo lì, la gente passava e ero accucciata in basso. Non frequentavo più i compagni, a casa non parlavo, non hanno mai saputo niente", racconta Chiara. Che perde un anno scolastico, gli amici, il rapporto con la famiglia. Fino al miracolo. La rinascita.

Merito di Simone, un operatore dei servizi sociali che la porta via dal buio dell'emarginazione. Ma cosa spinge una ragazza a farsi di eroina? "Un mix che diventa micidiale. Curiosità, spirito di sperimentazione, sottile disagio che gli adolescenti provano tutti e non sanno decifrare, assenza di memoria storica sui disastri dell’eroina, la roba di nuovo facilmente reperibile per tutti, la volontà di provocare la reazione di qualcuno", spiega al Corriere l'operatore milanese. Aggiungendo che "spesso, come nel caso di questa ragazza, le famiglie non sanno. Allora bisogna concentrarsi su di loro, dando fiducia, cercando di farli sentire degni di cura. Provo a vivere la loro sofferenza insieme, sul campo. Faccio capire che credo in loro cercando di non appesantirli con le aspettative".

Ora è due mesi che Chiara non si buca più.

Il problema della dipendenza da eroina di tanti giovani si risolve così, aggredendo il male, vittima per vittima, sradicandolo dal corpo e dalla mente di chi è precipitato nel tunnel. Un vuoto da cui si può riemergere.

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