«Paola Leone, 8 anni fa, mi chiese di tenere per lei quel pacco, che poi qualcuno sarebbe passato a ritirare. Non sapevo che dentro ci fosse un feto umano, per questo ho dimenticato che fosse lì». Il professor Angelo Vescovi, associato all'Università Bicocca, racconta la sua versione dei fatti sul ritrovamento, proprio nei laboratori dell'Ateneo dove fa ricerca con il suo staff, di un feto umano di quattro mesi.
La stessa versione che ha fornito ieri in Procura al pm Maria Teresa Latella per chiarire contenuti e circostanze dello scambio di mail, risalenti al 2005 e ora acquisite dagli inquirenti, con la direttrice del Cell&Gene Therapy Center dell'Università del New Jersey.
Da dove venisse quel feto lo ha rivelato proprio la professoressa Leone al quotidiano La Repubblica: resti di un aborto terapeutico, di una bambina affetta da una mutazione genetica causata dal morbo di Canavan. Materiale buono proprio per gli studi che la scienziata porta avanti da anni, ma che, ha raccontato lei, per questioni burocratiche non poteva essere spedito subito negli Stati Uniti.
È a questo punto che entra in gioco il ruolo di Vescovi. Il direttore del Centro Europeo di Ricerca sulle Staminali di Terni e della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo acconsentì - questa la sua linea di difesa - a tenere in via provvisoria quel pacco. Perché, allora, non lo ha dichiarato subito, paventando invece l'ipotesi di un sabotaggio, o quanto meno di una provocazione all'interno del Dipartimento di Bioscienze e Biotecnologie della Bicocca? La risposta di Angelo Vescovi è diretta, e anche arrabbiata: «Ma siamo matti? Non sapevo che fosse un feto umano. Se lo avessi saputo chiaramente non lo avrei dimenticato. È stata una scoperta anche per me». Quindi ha accettato di custodire nelle celle del laboratorio un pacco pur ignorandone il contenuto? «Senta, io domani ho un trapianto delicato da eseguire, ho bisogno di concentrarmi e non intendo stare qui a perdere tempo», risponde, molto contrariato, il docente. Che poi aggiunge: «Si trattò di una normale cortesia tra colleghi. Un fatto normale. Nei dipartimenti circola tanto materiale, non è che io mi metto a controllare cosa c'è in ogni busta e dentro ogni pacco. Dirigo diversi Istituti, sarebbe impossibile». E perché non ha chiesto, all'epoca, cosa ci fosse in quel pacco? «Volete cercare il marcio anche dove non c'è. Ripeto: fu una cortesia tra colleghi. Che, fino a ieri, avevo rimosso dalla mia memoria: lei ricorda cos'ha messo nella sua cantina otto anni fa? Certo, se avessi saputo di cosa si trattava non lo avrei lasciato lì per otto anni». Un periodo lungo, durante il quale nessuno ha sospettato che un feto di quattro mesi fosse rimasto depositato in una di quelle celle? A rispondere a questa domanda, oltre alle indagini ufficiali, ci penserà anche la commissione d'inchiesta interna costituita dall'Università Bicocca e che sarà operativa quando si chiuderà formalmente l'inchiesta della magistratura. E non si escludono provvedimenti: «Se sarà accertato che chi è coinvolto nella vicenda non ci ha detto tutta la verità o non ha rispettato le regole andrà in corso a sanzioni disciplinari», ha detto il rettore Marcello Fontanesi. Sotto la lente ci saranno, oltre al professor Vescovi, almeno quattro altri ricercatori della sua equipe.
L'Ateneo ha anche ribadito che «in Bicocca la ricerca si fa, ed è fortemente incoraggiata».
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