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«Voto Sì al referendum» E Pisapia tradisce il popolo arancione

Federica Venni

Dopo aver bruciato un bel po' di consensi negli ultimi cinque anni alle comunali di giugno ha portato a casa un deludente 3,8% - il movimento arancione ha perso anche il suo leader. Non è un divorzio conclamato non è nello stile dell'avvocato ma certo una bella rottura. Era nell'aria da tempo e ieri è arrivata la conferma nero su bianco: dalle colonne di Repubblica, Giuliano Pisapia ha fatto intendere, neanche troppo velatamente, che voterà Sì al referendum costituzionale perché il No innescherebbe un «periodo di instabilità politica che non farebbe bene al Paese». Qualcuno, non senza un velo di ironia, lo ha iscritto, insieme ad altri sindaci come il cagliaritano Massimo Zedda, nel partito del So: che non è il Sì, non è il No e nemmeno il Ni. L'ex sindaco di Milano sta giocando la sua partita e lo farà per il momento da solo, senza l'appoggio di quel popolo di sinistra che lo ha portato a Palazzo Marino.

Gli arancioni, sia che a livello nazionale decidano di confluire nella Sinistra Italiana di Fassina e compagni o meno, lo hanno detto lo scorso weekend durante la due giorni costituente di SinistraXMilano, nel passaggio da lista a formazione politica: il No a Renzi e alla sua riforma è netto. Tanto che domenica, proprio durante l'intervento di Pisapia, non sono mancati mugugni e frecciatine. «Non lo aveva capito nessuno che lei fosse per il Sì» aveva ironizzato amaramente qualcuno dalla platea dell'ex Paolo Pini dove si stava cercando di tratteggiare il post 4 dicembre. E lui, un po' seccato anche se col sorriso sulle labbra, aveva risposto: «Vedo troppi pregiudizi». Altre lamentele in sala e separazione consumata. Le strade al momento si dividono qui e Pisapia è stato molto esplicito anche sul suo ruolo: «Non farò il leader di nessun partito di sinistra», arancioni compresi. Perché mentre SinistraXMilano resta, se va bene, un contenitore da 3%, Giuliano è convinto che ci voglia un progetto più ambizioso: «È con un 8-10% che si inizia ad essere determinanti per le scelte di governo». Ecco perché, pur accarezzando da padre amorevole la propria creatura, ha deciso di lasciare il nido alla volta di orizzonti politicamente ben più proficui. La parola d'ordine ora è ponte: l'ambizione di Pisapia è quella di realizzare ciò che nessuno, fino ad ora, è riuscito a fare: tenere insieme le molteplici anime della sinistra nel nome di un dialogo propositivo con il capo del governo. Il tutto, è chiaro anche se non dichiarato, con un riconoscimento politico di peso. E per fare ciò, è inevitabile, ha bisogno di spogliarsi del peso dei No che contraddistinguono il movimentismo arancione. In questo senso è stata molto chiara la coordinatrice provinciale di Sel (ormai in via di sciogliemto) e consigliera di Palazzo Marino Anita Pirovano: «Per noi la pre-condizione per ricostruire una sinistra unita è la vittoria del No, cioè la fine del modello che c'è adesso». Niente di più diverso dal nuovo corso realista dell'ex sindaco che nella sua nuova veste di pontiere ammette: «Prima di costruire un unico contenitore di sinistra ci vorranno comunque due generazioni». Intanto però bisognerà capire, al di là delle intenzioni pre-referendarie, cosa succederà dopo il 4 dicembre.

Cioè se gli arancioni seguiranno o meno Pisapia nella formazione di una sinistra dialogante con Renzi, sul modello milanese dell'asse formatasi intorno a Beppe Sala. Modello a cui il presidente del Consiglio ha sempre detto di guardare con interesse, qualora la nuova legge elettorale ripristinasse il premio alla coalizione.

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