Un miliardo per assumere precari: la sinistra passa subito all’incasso

Rifondazione, comunisti, Sd e Verdi impongono a Prodi un emendamento per votare la Finanziaria

Un miliardo per assumere precari: la sinistra passa subito all’incasso

Roma - Poco meno di un miliardo di euro per assumere tutti i lavoratori precari della pubblica amministrazione. Per la precisione 900 milioni per stabilizzare i flessibili del settore pubblico e altri 90 per le sedi centrali di ministeri ed enti. La novità è spuntata ieri pomeriggio dopo un vertice tecnico al ministero dell’Economia. E, dal punto di vista politico - sempre che non ci siano ripensamenti dell’ultima ora -, rappresenta il principale risultato incassato dalla sinistra radicale sulla Finanziaria 2008. La risposta al corteo del 20 ottobre.
Non a caso ieri la presidente dei senatori Verdi-Pdci Manuela Palermi sottolineava che proprio sulla stabilizzazione dei precari si deciderà il voto della sinistra. E, a giudicare dall’emendamento, il «sì» di Rifondazione, Comunisti italiani, Sinistra democratica e Verdi è assicurato.

La stabilizzazione arriverà con un emendamento del relatore al ddl, che aumenta di circa venti volte il fondo previsto da una direttiva della Funzione pubblica varata nell’aprile scorso. Difficile capire quanti impiegati verranno assunti a tempo indeterminato. La definizione di precariato contenuta nella direttiva può includere i Lavoratori socialmente utili (gli Lsu), ma anche gli ex Co.co.co o chi ha un contratto a somministrazione. E le cifre degli atipici pubblici sono sconosciute.
Il nodo principale è la copertura che, sulla falsariga di un emendamento presentato dalla stessa Palermi, sarà cercata nei conti bancari dormienti. Ma l’emendamento è destinato ad aggravare anche un problema che era già emerso ai tempi della direttiva, e cioè il destino dei vincitori dei concorsi pubblici che non sono stati assunti. Si stima siano 70mila e, con la «sanatoria» del precariato pubblico, rischiano di vedere sfumare per sempre l’assunzione. Una volta sancito il principio della stabilizzazione non è poi escluso che le amministrazioni locali ne approfittino per stabilizzare il personale di diretta collaborazione delle giunte, dei presidenti e dei sindaci. E, quindi, che le nomine politiche si trasformino in tanti impieghi fissi a spese dei contribuenti.

Il passaggio al Senato della Finanziaria e degli agganciati sta riservando più sorprese del previsto. Tra le novità anche la cartolarizzazione delle spese processuali che l’amministrazione della giustizia non riesce a riscuotere. Un emendamento del relatore prevede che i crediti siano trasferiti a Equitalia. Salta il bonus mamma, la detrazione fiscale di 150 euro per le donne lavoratrici. «Costa troppo, 400 milioni», ha spiegato il sottosegretario all’Economia Alfiero Grandi.

Un iperattivismo che è il riflesso delle fibrillazioni politiche che stanno accompagnando la sessione di bilancio. Ieri il premier Romano Prodi ha dedicato la giornata ad accontentare le richieste di modifica avanzate dalle forze politiche minori e dai singoli senatori che minacciano di non votare la manovra. Giornata iniziata con un secondo vertice di maggioranza, dopo quello di domenica sera, senza i rappresentanti di Italia dei Valori e dei Liberaldemocratici di Lamberto Dini. E, questa volta, anche senza i due ultraulivisti Roberto Manzione e Willer Bordon. L’operazione di mediazione in questo caso è riuscita e i due ex esponenti della Margherita hanno incassato la disponibilità a ridiscutere il loro emendamento che mirava a ridurre il numero dei ministri. A sinistra Prodi è quasi riuscito a convincere il dissidente Fernando Rossi a votare la manovra. Rossi era riuscito a far passare con i voti delle opposizioni il raddoppio del bonus per gli incapienti da 150 a 300 euro. Misura che il governo non può confermare, ma che potrebbe essere sostituita da un ordine del giorno in cui l’esecutivo si impegna a varare misure simili.


Intanto dall’Antitrust arriva una bocciatura per decreto fiscale. La norma sulla spesa sanitaria, secondo il garante, «rischia di rallentare la dinamica concorrenziale» e di «non incoraggiare» lo sviluppo dei generici.

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