Un militare di 20 anni morto in servizio? Vale 500 euro

È morto giovane, a vent’anni. Ed è morto (troppo) presto, prima che la legge tutelasse almeno i suoi familiari. Così, quarant’anni dopo, scomparso lui e scomparsi i genitori, tocca al fratello - rimasto l’unico erede - fare i conti con il cappio della burocrazia e l’esasperante lentezza della giustizia. Conti assai miseri, per la verità. Perché la vita di Giancarlo Andreolli (nella foto per gentile concessione de Il Gazzettino), scomparso nel 1967 in un incidente in Liguria mentre era in servizio di leva, vale poco più di 500 euro. È la pensione di reversibilità riconosciuta 42 anni dopo la morte del ragazzo: per l’esattezza, 546,78 euro, più 2mila e 900 euro di rivalutazione per gli anni trascorsi dalla famiglia Andreolli ad aspettare una risposta dal ministero della Difesa.
È il 13 luglio del 1967 quando Giancarlo viene inviato insieme ad alcuni commilitoni a Novi Ligure per fare fronte a un’emergenza incendi. Il camion su cui viaggia esce di strada. Muoiono in tredici. È solo l’inizio del calvario. Luigi e Dontella Andreolli, i genitori del ragazzo, scoprono che non esiste alcun diritto al risarcimento, perché le leggi in materia (la 308 del 1981 e la 280 del 1991) prevedono la retrodatazione fino al primo gennaio del 1969. Quindi, spiega la lettera inviata dalla Direzione generale delle pensioni militari, «Giancarlo, deceduto il 13 luglio del ’67, non rientra tra i destinatari della normativa». Da qui la famiglia Andreolli inizia la discesa nel pozzo senza fondo della burocrazia.

Solo nel 2002 la corte dei Conti riconosce una pensione di reversibilità, peraltro mai incassata perché bloccata nel cortocircuito di uffici ministeriali incapaci di parlarsi. Nel 2007 interviene il difensore civico di Rovigo. Così, quarant’anni dopo, Alessandro Andreolli scopre quanto vale la vita di suo fratello morto a vent’anni. Euro 546.

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