Le minacce di morte e la follia del tifo contro

Non si placano le polemiche su Lazio-Inter. Rosella Sensi, presidente della Roma, rivolgendosi ai nerazzurri ha detto di "provare vergogna". Intanto il presidente della Lazio Lotito fa sapere di aver ricevuto minacce di morte alla vigilia del match

Le minacce di morte e la follia del tifo contro

Rosella Sensi, presidente della As Roma, nella concitazione del dopopartita di Lazio-Inter, ha sbagliato un verbo: non è una «vergogna vincere in quel modo». Semmai, è increscioso «perdere» in quella maniera. Gli agiografi del campionato più bello del mondo hanno un motivo in più per cercare un cantuccio ove nascondersi e contarsela tra loro che da quattro anni a questa parte è tutta un’altra cosa.

Nel caso della partita dell’Olimpico ha ragione Massimo Moratti: è esclusivamente cosa loro. Cioè di Roma e Lazio. È un derby che ha agitato anche il Bar Sport di Montecitorio. Un diluvio di dichiarazioni che neanche ci fosse da discutere la Finanziaria. Del resto, il pallone dà visibilità, merce ricercatissima dagli onorevoli. Ognuno indossando la maglietta della squadra del cuore, pronto a giurare e immolarsi sui sacri principi dell’articolo 1 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva: «comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità».

Quelli che la Lazio non avrebbe osservato prestandosi a una tattica rinunciataria che neanche tra scapoli e ammogliati, mentre dagli spalti uno stupefacente tifo incitava gli avversari della propria squadra. La novità di domenica sera all’Olimpico è infatti il tifo contro se stessi, cioè la negazione del tifo stesso. L’estremizzazione masochistica del tifo contro, che dà più soddisfazione di quello a favore. Non è la cultura dello sport, dicono i censori. Certamente, ma è quella diffusa nella vita di un Paese dove ti sta sullo stomaco il vicino di banco perché è più bravo di te, disprezzi il vicino di scrivania perché guadagna un po’ di euro più di te, odi il vicino di casa (e non solo perché non è di Erba).

Quindi, è normale preferire che a perdere sia la tua squadra se serve a non far vincere i nemici storici, il sacrificio diventa godimento. «Noi abbiamo fatto il nostro dovere da tifosi e voi il vostro da calciatori» è il pensiero dominante su radio e blog a tinte biancocelesti. Nessun pentimento, niente rimorsi: «Forse oggi Totti si sarà pentito di quel gesto dei pollici all’ingiù», si sghignazza sui forum. Dall’altra parte, si spreca l’indignazione un tanto al chilo: farsa, spettacolo deprimente, pagina della vergogna, campionato falsato, ci vuole l’inchiesta della procura, l’indagine federale, la retrocessione.

E la ciliegina del presidente laziale Claudio Lotito che denuncia di essere stato minacciato di morte con una lettera contenente proiettili di grosso calibro e la scritta: «Se non battete l’Inter siete finiti». Mittente misterioso: giallorossi incazzati, laziali furiosi per il rischio B della propria squadra? Ma, come in una commedia scritta male, nella capitale anche i servizi postali vanno in corto circuito quando trattano questioni legate al pallone e la lettera minatoria, spedita la settimana scorsa, è stata consegnata soltanto ieri alla sede della Lazio.

Non sapremo mai cosa sarebbe successo se Lotito avesse aperto la lettera in tempo. Ma tutto serve a far dichiarare a oltranza i nostri parlamentari. Silenzioso invece il presidente della Camera, Fini. Per lui, bolognese, la Lazio in fondo è una seconda squadra. Come il Pdl?

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