«Pensiamo prima a tante piccole parrocchie nei quartieri e poi al duomo». Non c’è fretta per una grande moschea ha assicurato nei giorni scorsi il direttore del centro islamico di viale Jenner, Abdel Hamid Shaari. Ma Islam.it ieri traduceva bene la politica dei piccoli passi intrapresa due giorni fa intorno al tavolo di Palazzo Marino tra il vicesindaco Maria Grazia Guida e gli esponenti delle associazioni musulmane coordinate da Davide Piccardo, ex candidato di Sel da cui gli Islamici Moderati rimasti fuori dalla porta hanno già preso le distanza («non ci rappresenta e non può prendere impegni a nome nostro»). «Sembra che finalmente nel 2012 la moschea a Milano si farà - scriveva Islam.it -. Verrà costruita su un lotto già ora sede di una sala di preghiera in una zona non centrale della città. Certo non risolverà il problema degli spazi di culto a Milano, ma è un segnale importante e una prova di dialogo fra islam e istituzioni». Sarebbe la seconda dopo Roma. Un progetto c’è già e porta in via Meda, di fianco alla sala di preghiera Al Wahid, l’unica che può davvero fregiarsi del nome di moschea: è gestita dal Coreis di Yahja Pallavicini, ha tutte le autorizzazioni in ordine, è riservata solo agli associati quasi tutti italiani convertiti ed è portata ad esempio da centrodestra e sinistra (si è meritata anche l’Ambrogino d’Oro sotto la giunta Moratti). La costruzione su un terreno di 1.500 metri quadrati è stata tentata nel 2002 e nel 2005 poi il progetto è sfumato per problemi finanziari, ma il 2012 potrebbe essere la svolta. Da progetto potrà ospitare solo 150 fedeli, ma è un inizio.
La grande mosche era il primo punto del programma elettorale di Shaari quando si è candidato sindaco contro Moratti e Pisapia. Ha dovuto ritirarsi perchè le firme raccolte per partecipare alla sfida non erano sufficienti, ma conta sul sindaco di centrosinistra e si affida al portavoce degli islamici di Sel per centrare l’obiettivo. Si comincia dalle piccole moschee di quartieri, come concordato al tavolo in Comune. Una decina sono già ben note, i residenti ci fanno i conti da anni, il centro islamico di viale Jenner è il più noto. Poi si aggiunge il sottobosco di garage, cantine e magazzini trasformati in luoghi di culto abusivi. Ci sono la confraternita sufi «Jerrahi-Laverti» di viale PIceno, il «Centro Dahira Touba» di via Carnevali, il centro Scito Iraniano di via Tolstoj. L’«Islam Kultur Merkesi» è in via Fara, già noti anche l’istituto islamico di via Quaranta o la Casa della cultura islamica di via Padova.
La Lega raccoglie firme contro le mini e la maxi-moschea. Il Pdl si divide. Il capogruppo Carlo Masseroli ha espresso un no assoluto al grande centro di preghiera, apre invece ai piccoli luoghi di culto nei quartieri. Il consigliere comunale Andrea Mascaretti assicura invece che ci sarà «un battaglia durissima in aula ma anche una mobilitazione nelle piazze, perchè gli esempi con cui abbiamo dovuto fare i conti finora non depongono a favore: viale Jenner ha ospitato estremisti coinvolti in attentati terroristici, serve prima una legge nazionale e un albo degli imam». E «dobbiamo spiegare alla gente cosa si rischia concedendo troppo ai musulmani. Milano è anche una città ricca, rischia di diventare la capitale italiana dell’immigrazione araba, con i problemi con cui stanno facendo i conti Paesi che si sono mostrati fin troppo aperti e disponibili ad integrare gli islamici». Cita Rotterdam. La seconda metropoli olandese è ormai un pezzo di Medio Oriente, è una città a maggioranza immigrata, ha i minareti più alti d’Europa e viene chiamata «Eurabia», soprattutto da quando nel 2009 ha eletto il primo sindaco islamico. In Danimarca, sono già 200mila su una popolazione di 5 milioni, in base ad un calcolo demografico il Damp sostiene che entro il 2020 i musulmani costituiranno la maggioranza. A Malno in Svezia, una cittadina che è stata teatro di violenti scontri, un terzo della popolazione è composta da immigrati islamici e le percentuali di disoccupazione sono pazzesche, quasi il 90% sopravvive grazie ai sussidi garantiti dal welfare scandinavo.
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