Ministro Gelmini non scordi la Moratti

Ho ascoltato con attenzione l’audizione di ieri mattina di Mariastella Gelmini, un po’ perché chiunque abbia fatto il ministro della Pubblica istruzione in Italia ha sofferto le pene dell’inferno e concluso poco, quando non ha fatto danno, un po’ perché le donne sono la maggioranza degli insegnanti, infine perché ancora una volta le donne sono la fettona di società sulla quale ricade in massima parte la pessima istruzione dei ragazzi. Sono un po’ delusa. Alla Commissione Cultura della Camera, la Gelmini ha presentato le linee guida del ministero dopo un incontro con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al quale le aveva illustrate. Perché mai? Così ha dato il segnale di desiderare una approvazione preventiva, un consenso che non le serve né come ministro né come donna. I deputati del Partito democratico all'opposizione hanno avuto buon gioco nel farlo notare, evocando la sovranità del Parlamento. Strumentali e manipolatori, ma con ragione. Per dirla tutta, anche Il Messaggero, quotidiano della capitale, aveva pubblicato in anteprima buona parte dei contenuti del discorso per la Commissione.
Vengo al discorso. Mi sarei aspettata che cominciasse con un «dov'eravamo rimasti», nel senso che il ministro dell'Istruzione del governo Berlusconi del 2008 non può che ricominciare da dove è stato bloccato il lavoro del suo predecessore nel governo Berlusconi del 2001-2006, ovvero da Letizia Moratti. Quel progetto di riforma era realistico e audace, introduceva i concetti di merito e selezione, tanto per gli insegnanti quanto per gli studenti, nell'unico modo possibile per un governo liberale e liberista. È stato indegnamente boicottato dagli insegnanti e dai loro sindacati, anche dagli studenti, ma non diamo loro responsabilità maggiore di quanta ne abbiano.
Invece Mariastella Gelmini ha citato con favore per tre volte l'ex ministro, Giuseppe Fioroni, che aveva imbalsamato la riforma, due volte il ministro ombra del Pd, Maria Pia Garavaglia, che forse non ambiva a tanto riconoscimento, e non si è fatta mancare tre citazioni di Antonio Gramsci. Neanche una parola per Letizia Moratti, che dagli insegnanti aveva preteso rendimento prima di decidere aumenti, e in ogni caso mai più uguali per tutti.

Mi auguro che sia una tattica sapiente di esordio soft, magari in tandem con una più liberale e decisa presidente della Commissione Cultura, Valentina Aprea. Aveva pronta una proposta di legge sulla concorrenza fra scuole statali e private, su stipendi più alti per gli insegnanti migliori. La presenti presto.

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