Il mio amico Mauro caduto per portare la pace

Caro Direttore,
ho sempre appreso con sgomento la notizia dei nostri militari scomparsi durante le missioni estere. Ma stavolta è diverso. Mi ha colpito ancor più da vicino. Se non altro perché lo conoscevo. Mi riferisco al primo Maresciallo Mauro Gigli, del 32° reggimento Guastatori della brigata alpina Taurinense, artificiere qualificato in antisabotaggio. Morto a soli quarantuno anni, mentre svolgeva il suo dovere. È rimasto ucciso lo scorso 28 luglio, a Herat, in Afghanistan, dallo scoppio improvviso di un ordigno rudimentale. Era in compagnia del caporal maggiore capo Pierdavide De Cillis, anche lui saltato per aria, a soli trentatré anni, apparteneva al 21° Reggimento Genio di stanza a Caserta.
Mauro era alla sua quinta missione in Afghanistan. Ho avuto il piacere di incontrarlo già nell’aereo militare, circa un anno fa. Lo ricordo sempre disponibile e sorridente, modesto e discreto. Io ero andata lì come giornalista, con i nostri militari italiani in missione all’estero, che rischiano ogni giorno la vita per garantire una migliore qualità di vita al popolo afghano. Gente che ha davvero bisogno di protezione e sostegno. Per assicurare la massima continuità operativa, Mauro aveva anticipato il suo arrivo di dieci giorni per affiancare il collega Filippo Loiacono, del 6° reggimento Genio Pionieri di Roma-Cecchignola, altro esperto artificiere e antisabotaggio, cinquant’anni d’età per oltre trenta di servizio. Al momento del cambio - le missioni durano qualche mese poi si torna a casa - è importante aggiornarsi l’un l’altro sull’attività, e questo Mauro lo sapeva bene. Era sempre accorto e prudente. Ma stavolta non è stato sufficiente. I nostri artificieri italiani ancora non erano mai stati colpiti. E questo, magari agli insurgents, non andava proprio giù. Ebbene, Direttore, ho visto Gigli all’opera a Camp Invicta a Kabul e posso testimoniare quanto fosse abile e professionale nel suo lavoro, che amava. Come tutti suoi colleghi, sapeva che una bomba non è mai sola, che vicino ce n’è un’altra, e un’altra ancora. Sapeva che non bisogna mai abbassare la guardia. Rispose così a una mia intervista pubblicata su Libero che circa un anno fa dirigevi: «Quando disinnesco una bomba non penso mai a mia moglie Vita e ai miei due figli, ci vogliono freddezza e lucidità per liberarsi da tutti i pensieri: anche questo è addestramento». Eppure Mauro non ce l’ha fatta. Sognava tanto di ritirarsi un giorno con la sua amata famiglia nella sua villetta che aveva acquistato da poco a Villar Perosa, nella provincia di Torino.
Caro Direttore, non riesco a credere che Mauro se ne sia andato così. Non riesco a non ricordarlo sorridente, come è sempre stato. E ce l’ho a morte contro chi, in questi casi, ogni volta, sputa veleno contro le missioni dei nostri militari all’estero. Non sono missioni di guerra, io ci sono stata. Quando un bimbo afghano incontra uno dei nostri militari, gli corre incontro felice, come se avesse avuto un’apparizione celeste. I bambini sono la voce della verità.

I nostri militari sono benvoluti dal popolo afghano e non bisogna cadere nel tranello dei talebani, uccidono perché non vogliono «intrusi».
Egregio Direttore, Mauro era anche uno dei miei amici di Facebook. Ogni tanto ci scrivevamo. Ora quel contatto si è interrotto, ma io lo avrò sempre nel cuore.

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