«Il mio Blue Note un concerto lungo sette anni»

È avvocato, ama il jazz ma non è Paolo Conte. Anche lui si chiama Paolo ma di cognome fa Colucci, e ha trasformato al sua passione per la musica in un business fondando il Blue Note di Milano - punto di riferimento per i jazzofili di mezza Italia - che è partito giovedì con la settima, intensissima stagione.
Allora avvocato, con questa crisi è pentito di essere imprenditore musicale?
«Assolutamente no, il Blue Note è la mia impresa del cuore. Ho fatto tutto con alcuni amici, senza sponsor né aiuti pubblici. Il club non guadagna molto ma neppure perde e, come programmazione, è l’unico locale del genere in Europa insieme ai londinesi Ronnie Scott e Jazz Cafè. Sette anni fa aprimmo con Chick Corea, e oggi tutti i più grandi passano da noi. La mia più grande gioia? Quando qualcuno mi ferma per strada e mi ringrazia per ciò che faccio».
Come le è venuta l’idea di aprire il club?
«È sempre stato il mio sogno nel cassetto da quando, nell’83, seguivo un master a New York. Vennero a trovarmi mia madre e mia zia e le portai al Blue Note, quello originale, dove si esibiva Dizzy Gillespie, un’emozione unica. Dopo lo show, con grande faccia di bronzo, lo invitai al mio tavolo a bere una birra. Da allora ho lavorato a questo progetto».
Milano non è una piazza facile per il jazz in particolare.
«A Milano ci saranno 1 milione e mezzo di abitanti più l’hinterland; io sono ormai milanese ma vengo da Napoli, so che qui si pensa soprattutto al lavoro e dico alla gente: “prendetevela meno e godetevi un po’ di più la vita, anche nei locali”».
Ma jazz ad alto livello in città ce n’è poco.
«Non è vero, l’offerta è notevole. Certo che noi facciamo 250 concerti all’anno con personaggi come Brad Mehldau, Chris Botti, Stanley Clarke e raccogliamo 50 - 60mila persone a stagione, sinceramente penso che non potremmo fare di più».
Con tanti locali in crisi lei deve avere un segreto.
«Per il programma abbiamo il vantaggio di scambiare parte degli artisti con gli altri Blue Note. Ma sono anche molto fiero di come portiamo avanti questa avventura. Però devo dire con orgoglio che un po’ ci ho messo del mio. Qui per fortuna non è come a Roma che se non hai agganci politici non fai nulla, noi siamo apolitici. Abbiamo creato un locale dall’acustica perfetta, da fuori non si sente un suono, non diamo fastidio a nessuno eppure siamo ignorati dalle istituzioni».


Cambierà qualcosa in questa stagione?
«No, sarebbe tradire la nostra immagine. Piuttosto vogliamo allargare la cerchia degli artisti».
Ad esempio?
«Vorrei che tornasse Pino Daniele, che l’anno scorso ha fatto alcune serate magiche».

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