"Il mio documentario rende protagoniste le persone con una ferita da riparare"

Il regista Niccolò Maria Pagani: "L'IA trasforma in sorriso il ricordo di dolore"

"Il mio documentario rende protagoniste le persone con una ferita da riparare"
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Ripararsi l'anima, attraverso l'Intelligenza Artificiale. Non è detto che quest'ultima debba per forza essere un mostro di cui temere per il futuro. All'uomo spetta controllarla, per far sì che sia, per l'appunto, strumento di cura e non un'arma. Da questo spunto parte un'opera decisamente originale, un documentario dal titolo "memor.IA" realizzato dal regista Niccolò Maria Pagani, presentato al pubblico nel cartellone del Milano Pride, nella Pride Square di piazzale Lavater. A Niccolò Maria Pagani, giovane milanese, si deve un recente docu-film biografico incentrato sul celebre alpinista e scrittore Mauro Corona "La mia vita finché capita" - uscito nelle sale a maggio, bagnato da ottime critiche e dal gradimento del pubblico (quinto al boxoffice per tre settimane di fila) anche al Trento Film Festival. Da una figura outsider come Corona, il passo nel tema dell'inclusività del Pride è del tutto coerente.

Da dove nasce il progetto?

"La società energy Pulsee Luce e Gas, che per sua politica è da sempre attenta ai temi di inclusione, di concerto con l'agenzia Cb22 e Indiana Production ha promosso la realizzazione di memor.IA. L'obiettivo era tanto semplice quanto complesso: ascoltare storie di persone in Italia, accomunate da una ferita passata e da un ricordo mancante, un ricordo che non gli era stato possibile vivere per la privazione di un diritto. Persone che avrebbero voluto che la loro vita avesse preso una piega diversa. Sono storie di infanzia, disabilità, inclinazione sessuale, istruzione, lavoro. L'intelligenza Artificiale recupera un'immagine di dolore e trasforma quel ricordo mancante in un sorriso".

Non è facile capirlo in parole.

"Me ne rendo conto, ma confido nella proiezione dell'opera in più supporti possibile, anche perché dura 25 minuti: la visione del documentario spiega tutto, se si vuole contiene alcuni colpi di scena".

Un caso individuale raccontato?

"Sono quattro, ne cito due. Un ragazzo che aveva intrapreso una transizione sessuale ed è stato allontanato dall'agenzia interinale per cui lavorava con una battuta crudele. O un giovane sulla sedia a rotelle, che si vede escluso da una città che, sono parole sue, è fatta solo per i bipedi".

Questo rammendare i ricordi può essere visto come una sorta di psicanalisi?

"Penso proprio di sì. Si tratta davvero di un lavoro psicanalitico, tanto che uno dei protagonisti del documentario mi ha detto: essermi visto così, nel film, mi ha messo in pace, ora posso chiudere con l'analisi. Per me è stato motivo di grande orgoglio".

Ma vedersi sotto un'altra luce attraverso un trucco tecnologico, può davvero servire?

"Se il racconto e le interviste vengono condotte in modo empatico e rispettoso, ritengo di sì.

È per questo che penso che un mezzo come l'IA sia più utile in mano alla sensibilità degli artisti piuttosto che all'avidità di altre situazioni più commerciali. Io sono stato supportato da un vero e proprio team di IA artists capitanati da Guido Callegari".

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