Non piange più, Marina Litvinenko. Ora è forte, determinata come le donne russe sanno essere dopo una tragedia. Ora chiede giustizia: vuole che i responsabili della morte di suo marito Aleksandr, detto Sasha, l’ex spia del Kgb uccisa con il polonio-210 a Londra, paghino per quel che hanno fatto. In cuor suo non ha mai avuto dubbi sul mandante e sugli esecutori, ovvero il Cremlino e i servizi segreti dell’Fsb, ma è altamente improbabile che ottenga giustizia in tribunale. E allora combatte attraverso i media, facendo appello all’opinione pubblica internazionale. Ieri era a Milano, accompagnata da Alex Goldfarb (scienziato dissidente e grande amico di famiglia), con cui ha scritto il libro Morte di un dissidente (pagg. 386, Longanesi editore), dedicato all’incredibile vicenda Litvinenko.
Alex e Marina mi ricevono in un hotel milanese. L’intervista è a lei, ma lui interviene volentieri aggiungendo dettagli e considerazioni. Sono sempre d’accordo.
A distanza di dieci mesi dall’assassinio si è capito chi ha fornito il polonio?
«Questa è una sostanza radioattiva molto rara. L’Fsb da solo non poteva reperirla; a dargliela sono stati degli scienziati. Ma in Russia solo la Rosatom (ovvero l’Agenzia federale dell’energia atomica diretta dall’ex premier Kirienko), ha accesso al polonio-210. È evidente che c’è stato un coordinamento tra l’ex Kgb e l’ente nucleare».
Ma perché ucciderlo? Aveva scoperto qualcosa di compromettente?
«No e non è stato certo assassinato per vendetta per le sue denunce sul coinvolgimento dei servizi negli attentati della fine degli anni Novanta. L’impressione è che la sua morte rientrasse in un piano sofisticato per screditare l’oligarca Berezovsky e l’ex ministro ceceno Zakaev, entrambi in esilio a Londra. Il Cremlino avrebbe potuto facilmente far uccidere uno di loro, ma così la sua responsabilità sarebbe stata palese».
E invece?
«Siccome Sasha Litvinenko negli ultimi tempi si era allontanato da Berezovsky, la sua morte avrebbe reso plausibile il coinvolgimento del magnate nell’omicidio e dunque facilitato la sua estradizione in Russia, che finora non è mai stata concessa dal governo britannico».
Cos’è andato storto?
«Il fatto che Sasha sia sopravvissuto per diversi giorni e la scoperta dell’agente killer, il polonio le cui tracce hanno permesso di risalire ad Andrei Lugovoi, l’indiziato numero uno».
Tracce così vistose da far pensare a dei dilettanti più che a dei professionisti...
«Il punto è che lo stesso Lugovoi non sapeva di trasportare una sostanza altamente radioattiva, pensava che nella fiala ci fosse un arsenico. Insomma, hanno usato quest’uomo a sua insaputa. Non hanno comunque rinunciato alla tesi originaria. Al contrario: insistono nel dire che il mandante è a Londra».
E intanto Zhirinovsky candida Lugovoi in Parlamento. Come ha reagito alla notizia?
«Cerco di non lasciarmi prendere dall’emozione. Certo questo sviluppo non mi piace affatto. Lugovoi sostiene di essere innocente, ma allora dovrebbe andare a Londra a difendersi Invece ora scende addirittura in politica; con la benedizione di Putin è diventato una celebrità, un simbolo della Russia che resiste e non indietreggia di fronte alla Gran Bretagna. Ma questa è una farsa».
E quale sarebbe la verità?
«Lugovoi non è un eroe, ma un traditore. E recita un copione scritto dal Cremlino. Di certo non può dire la verità liberamente».
Ma per quale ragione il Cremlino avrebbe osato sfidare platealmente il governo britannico?
«Perché questa è la mentalità del Kgb. C’è un precedente significativo. Nel 2004 uccisero in Qatar l’ex presidente ceceno Zelimkhan Yandarbiyev dopo che l’emiro aveva rifiutato l’estradizione.
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