Intanto O’ Scia’ è un evento. Da oggi per cinque giorni cento artisti, vuoi cantanti vuoi attori vuoi persino scrittori, si alterneranno sul palco della Guitgia, praticamente in riva al mare di Lampedusa, e suoneranno e parleranno e improvviseranno facendo della musica ciò che dovrebbe sempre essere: un rito gioioso che unisce il pubblico. Certo, Claudio Baglioni, che di O’ Scia’ è l’inventore e da otto anni lo tiene in piedi con il suo staff, si sarà pure abituato a quel poco di scetticismo che magari all’inizio ha battezzato la sua creatura. Ma chi ci è stato, su quella spiaggia avamposto dell’Africa, e ha assistito in un posto unico a concerti unici (mai trasmessi in tv né pubblicati su disco) è tornato a casa soddisfatto, e non soltanto perché il Festival è pur sempre illuminato dalla vocazione di celebrare, come dice lui, «l’integrazione tra fedi, culture, tradizioni e identità». Perciò sentitelo qui il Divo Claudio, entusiasta al telefono prima di tornare sul palco ad aggiustare gli ultimi dettagli: «Abbiamo il cast numericamente più grande di sempre».
Però, caro Baglioni, anche la qualità è sulla carta inarrivabile, da Fabri Fibra a Paolo Rossi, da Finardi a Carmen Consoli a Giorgio Faletti.
«E sono tutte adesioni spontanee. Anzi, qualcuno che è già stato qui poi vuole ritornarci».
In più, O’ Scia’ è la mappa della musica popolare italiana. Anche anagraficamente: da Francesco De Gregori a Loredana Errore c’è un fil rouge che unisce quarant’anni di canzone.
«Sì, abbiamo tenuto conto della varietà del nostro panorama musicale».
Gli dia un voto.
«No, i voti no. Ma diciamo che siamo nell’inverno dell’industria discografica e nell’autunno della creatività. Non mi sembra che nessuno di noi abbia prodotto negli ultimi quindici anni qualcosa davvero memorabile».
Il bilancio?
«Uso una metafora: credo che la materia prima esista e che forse siano i forni in cui viene preparata a essere spenti. Per sfruttare ciò che disse De Gregori, molti sono chiamati per brevità artisti».
A proposito: che cosa farete insieme?
«Mah, tutto è molto improvvisato ma credo che suoneremo la sua Rimmel con due chitarre, esattamente come abbiamo fatto tanti e tanti anni fa. Ma, nel complesso, abbiamo un programma che non è mai stato così vario».
Ad esempio?
«Con Luca Barbarossa e Neri Marcoré faremo qualcosa legato a Porta Portese. E con Gegé Telesforo faremo una versione particolare di Vengo anch’io, no tu no».
Scusi, e la prossima versione di O’ Scia’?
«Penso a una sorta di rigenerazione seguendo l’esempio di quanto abbiamo fatto anni fa a Malta, con tre artisti italiani e tre locali. Potremmo portare O’ Scia’ in tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Poi magari organizziamo anche un evento «speciale» in Italia. Ma l’obiettivo è di diventare ambasciatori della nostra musica nel mondo. In fondo è una cosa che di solito fanno soltanto gli anglosassoni».
Inarrestabile eh. Baglioni non si ferma mai.
«Sono sempre curioso. E O’ Scia’ mi ha fatto abituare all’idea dell’accoglienza degli ospiti. In sostanza ho fatto una scuola praticamente gratis».
Tra l’altro, dalla settimana prossima toccherà a lei essere ospite visto che inizia il suo tour mondiale.
«Ho giusto un giorno per fare le valigie. E qui sul palco darò un’idea di quella che sarà la scaletta dei miei concerti».
Canterà nei posti più lontani, persino in Giappone.
«Ci sono stato già dodici anni fa».
Però sarebbe bello vedere l’effetto che fa ai giapponesi una canzone di Baglioni.
«Sono curioso anche io. Tra l’altro una volta ero contento di tradurre i miei brani in altre lingue.
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