Cronache

Mio padre era partigiano ma ho amato un fascista Sua figlia si chiama Alba

La Parietti racconta la sua famiglia e i suoi fidanzati. Come quel ragazzo imputato per la strage di Brescia

Mio padre era partigiano  ma ho amato un fascista  Sua figlia si chiama Alba

C’è la carriera di una donna famosa, ci sono gli amori, gli affetti di una vita. E c’è la storia personale, quella della sua famiglia, dei suoi antenati dalla fine dell’Ottocento attraverso i grandi eventi del secolo scorso, come il periodo del fascismo e la seconda guerra mondiale. «Da qui non se ne va nessuno» è l’«autobiografia famigliare» di Alba Parietti. Il volume, edito da Mondadori (pagg. 156, euro 17,50), sarà in libreria dal 7 febbraio. Ne pubblichiamo un capitolo, «Io fascista», dedicato al suo amore con uno degli imputati, poi assolto, della strage di Brescia.

Ceschino, galante e educa­to in ogni situazione, ado­rava le donne perché era un uomo giusto. Non era gentile con loro perché sperava di riceve­re qualcosa in cambio, ma per in­tolleranza verso le discriminazio­ni. Nella sua fabbrica, la Ceat, la­vorava una ragazza non bella, non particolarmente sexy, ma ele­gante, la signorina Vason, che ave­va perso il marito ed era rimasta incinta di un uomo sposato che non aveva voluto riconoscere la fi­glia. Per questo al lavoro veniva di­sprezzata e trattata come uno straccio. Papà la prese come sua segretaria, la difese da tutti e tut­to, tanto che i maliziosi dedusse­ro ci fosse una relazione. Niente di più falso (...) Mai usò violenza su una donna. Per le donne del fa­scismo, però, non aveva pietà. Gli facevano orrore, sia perché si ven­devano per denaro e favori, sia perché facevano le spie. Quando Pier Francesco Pingitore mi chia­mò a inte­rpretare nel film Tre stel­le Paola Del Sol, attrice molto ama­ta e amante dei gerarchi, ebbi la netta sensazione di tradirlo.

Non fu l’unica volta. Da adole­scente mi innamorai dell’uomo più bello che io abbia mai visto al mondo, un fotomodello milane­se di nome Alessandro Stepanoff, sosia di Mick Jagger, uno il cui ma­gnetismo bloccava il traffico, non gli si potevano staccare gli occhi di dosso. Entravamo nei negozi e uomini e donne andavano in debi­­to di ossigeno, era di una perfezio­ne sbalorditiva, a parte un picco­lo neo: si collocava dall’altra par­te della barricata, nel movimento neofascista. Erano anni in cui non si poteva non essere schiera­ti, io di qua con la Fgci, lui di là con il Comitato Tricolore, entrambi con una storia familiare da onora­re. Alessandro era di origine rus­sa, suo nonno, colonnello della Guardia imperiale aveva organiz­za­to la Resistenza contro i bolsce­vichi ed era stato ferito tre volte, suo padre apparteneva all’Arma­ta Bianca e ai Cavalieri dell’Ordi­ne di Malta. Non era affatto un fa­natico di Mussolini, ma un antico­munista convinto e perciò più vi­cino agli ambienti giovanili della destra.

Ammetto che, al cospetto di una simile bellezza, la connota­zione politica per me contava ze­ro, almeno finché non finì alla sbarra nel processo per la strage di Piazza della Loggia. I sospetti su chi avesse messo la bomba cad­de­ro sul neofascista milanese Ce­sare Ferri, che però, per quel fati­dico 28 maggio 1974, aveva un so­­lido alibi fornitogli, tra gli altri, an­che da Alessandro. Era passato a prenderlo alle 8.30 e insieme era­no andati all’Università Cattolica (...) Durante la prima istruttoria tutti i testimoni deposero a favore di Ferri confermando i fatti e l’ac­cusa cadde. Tutto sembrava esse­re­tornato a posto nella vita di Ales­sandro. Era bellissimo e per nien­te vanitoso, non aveva grilli per la testa e lavorava duramente all’or­tomercato, poi un giorno fu fer­mato per strada da Oliviero Toscani e da una sua redat­trice, che gli proposero un servizio fotografico per Vo­gue e lui, che non sapeva nemmeno cosa fosse, ac­cettò per soldi, diventan­do di lì a poco il numero uno nella moda, la coper­tina fissa di Vogue , prota­gonista delle campagne di Richard Avedon con Kelly Le Brock, Rene Russo, Jerry Hall (...) Per dieci anni il mondo intero fu ai suoi piedi, fino a che nel 1984 Angelo Izzo, plu­riomicida e massacratore del Circeo, sostenendo di aver raccolto le confidenze di al­­tri carcerati, rilanciò il no­me di Cesare Ferri e causò l’apertura del­l’inchiesta bis che seguiva la nuova pi­sta nera milanese.
Alessandro fu ri­chiamato da New York, nel 1985 ven­ne ascoltato come teste e, nonostante la sua linea difensi­v­a fosse esattamen­te
 la stessa di dieci anni prima, fu arre­st­ato per falsa testi­monianza.

Gli altri testimoni, a distan­za di tanto tempo, si mostravano vacillanti sui dettagli (...) Il proble­ma restava Alessandro, il quale continuava a sostenere che alle 8.30 era andato a prenderlo (...) Fu imputato per concorso in stra­ge, incarcerato, tenuto per qua­ranta giorni in isolamento (...) Ogni giorno lo interrogavano per vedere se cambiava versione (...) Fu spostato nel settore comune del carcere, ci restò quattro mesi (...) A un certo punto gli diedero gli arresti domiciliari (...) Dopo una lunga trafila nelle aule giudi­ziarie, fu prosciolto da ogni impu­tazione (...) Lo Stato lo risarcì con sessanta milioni per ingiusta de­tenzione quando lui ne aveva spe­si ottanta solo per gli avvocati (...) Uno come Alessandro poteva ave­re tutte le donne che voleva, me compresa, invece scelse di stare con Carine, la fidanzata di sem­pre, al suo fianco in tutte le fasi processuali. Si è rivelato una per­sona perbene, una delle migliori che ho incontrato e fra noi tre è na­ta una bellissima amicizia; hanno chiamato il figlio Misha, come il padre di Alessandro, e la figlia Al­ba, come la prima Repubblica Par­tigiana.

Mio padre non si sarebbe arrabbiato poi troppo. 

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