«Mio padre trasvolò l’Atlantico per i piccoli del Don Gnocchi» La figlia di Leonardo Bonzi racconta l’impresa di solidarietà per i «mutilatini» «L’Angelo dei bimbi», un velivolo del 1948, è ora conservato al museo Alfa Romeo

Sessant’anni fa un aereo da turismo trasvolò l’Atlantico. Quel piccolo ma potente Sai Ambrosini 1001, equipaggiato da motori Alfa Romeo, partì da Milano e arrivò a Buenos Aires con a bordo i piloti Maner Luardi e Leonardo Bonzi. Era il dicembre del ’48, e i due compirono un’impresa eccezionale non solo dal punto di vista sportivo: lo scopo era quello di raccogliere fondi per don Gnocchi, il sacerdote milanese che dava assistenza a migliaia di «mutilatini», i bambini feriti durante la guerra. La Gazzetta dello Sport sostenne l’iniziativa, lanciando una imponente raccolta di fondi sostenuta anche dai tanti nostri connazionali immigrati nel Paese di Evita Perón: dopo la trasvolata, che si concluse con successo nel gennaio del ’49, l’aereo venne ribattezzato l’Angelo dei bimbi e ancora oggi è un cimelio del museo dell’Alfa Romeo. «L’impresa andò sulla copertina della Domenica del Corriere: ero piccola, ma ricordo l’ euforia di quel periodo. Ricordo anche la preoccupazione di mia madre, che riceveva notizie solo da sporadici telegrammi», racconta la contessa Emilia Bonzi, figlia di quel Leonardo «che non si fece mancare nulla dalla vita».
La storia del conte milanese Leonardo Bonzi, il pilota dell’Angelo dei bimbi, è meglio di un romanzo di Salgari, e merita di essere conosciuta. Fu «un uomo che partiva sempre», come lo definisce ancora oggi la figlia, ricordando una padre «poco presente» e sempre pronto all’avventura successiva. Amava lo sport e la competizione: fu olimpionico nella squadra di bob (alle Olimpiadi di Chamonix del ’24 era il portabandiera dell'Italia) e valente tennista in grado di aggiudicarsi più volte i Campionati Assoluti.
Amava l’avventura: fu comandante di otto spedizioni geografiche e se oggi sulle mappe della Groenlandia leggiamo «Punta Milano» o «Punta Brescia», lo dobbiamo a lui che per primo esplorò nel ’33 una zona dei ghiacci non ancora toccata dall’uomo e la ribattezzò, con italico fervore, «Zona Savoia». «Ci sono stati momenti in cui organizzava spedizioni in tre o quattro diverse aree del pianeta: non so come facesse - continua Emilia Bonzi -. In luna di miele portò mia madre, che aveva preparato il suo bel corredo da sposa, in Afghanistan, in auto, nel ’38. Visse tutta la sua esistenza all’insegna dell’avventura». Anche sentimentale: perché uno così, facile intuirlo, affascinava le donne nonostante il carattere solitario.
La sua vita ebbe poi una virata glamour: Bonzi, nato conte, cresciuto a sport e avventura e pluridecorato militare in tempo di guerra, un giorno s’innamorò del cinema. Fece anche qui le cose in grande: sposò in seconde nozze (che dureranno poco) l’attrice Clara Calamai, nota per essere stata la prima donna a mostrare il seno in un film («La cena delle beffe» del ’41, per la cronaca). Non solo: diresse e produsse documentari, vincendo con «Continente perduto», dedicato all’Africa, il premio della giuria al Festival di Cannes del ’55. Oggi nella piccola frazione di San Michele di Ripalta Cremasca, Emilia Bonzi ha aperto nell’antica casa di famiglia un museo alla memoria del padre, che lì morì nel 1977: «Purtroppo la guerra ha cancellato l’eco di molti suoi successi, ma vorrei che le sue imprese fossero conosciute e magari apprese sui libri di scuola», conclude.


A Milano una targa, esposta su un elegante edificio di piazza Duse, recita: «In questa casa visse il conte Leonardo Bonzi, medaglia d’oro al valore aeronautico, 4 medaglie d’argento al valore militare, pilota con record mondiali attraversò in volo l’Atlantico con l’Angelo dei bimbi, comandante di otto spedizioni geografiche, olimpionico e accademico della montagna e dello sci, campione d’Italia di tennis, medaglia d’oro al valore atletico, avvocato, scrittore e giornalista». Aggiungiamo noi: molto amato, come capita solo agli uomini eccezionali.

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