«Il mio Vietnam soffocato dal regime comunista»

Parla la scrittrice dissidente Duong Thu Huong. Un atto d’accusa contro l’utopia fallimentare che ha ingannato il Paese

MARINA GERSONY Grinzane Cavour (Cuneo)

A tmosfera cosmopolita ieri a Torino in occasione del Premio Grinzane Cavour. Oltre alla tedesco-bengalese Anita Desai vincitrice del premio internazionale (è una tra le massime voci della narrativa indiana contemporanea), notevole è stata la presenza indiana mescolata all’allegra folla dell’establishment culturale nostrano e internazionale.
Ma la vera curiosità di quest’anno, al di là di vincitori e vinti, è stata la vietnamita Duong Thu Huong, la minuta scrittrice asiatica premiata nella terna degli stranieri che con i suoi brevi sorrisi, i graziosi ammiccamenti e il volto intenso, ha catturato l’interesse della stampa già prima del suo arrivo a Torino caratterizzato da un viaggio rocambolesco e incerto fino all’ultimo. Infine, grazie all’intercessione di Giuliano Soria, presidente del Premio Grinzane, e dell’Ambasciata italiana ad Hanoi, ha ottenuto passaporto, visto d’ingresso e finalmente è arrivata.
«Mi hanno ritirato il lasciapassare - spiega - dopo un mio viaggio in Francia nel 1994. Da allora sono prigioniera in patria, condannata a essere un’eterna ribelle». Dopo aver guidato una pattuglia della gioventù comunista al fronte nel 1979 quando la Cina attaccò il Vietnam, è stata la prima donna soldato a scrivere di guerra e a schierarsi a favore dei diritti umani. Censurata, boicottata, espulsa dal Partito Comunista vietnamita per le sue idee, la sua è stata (ed è tuttora) la vita di un’esiliata in patria che con tenacia si è opposta al regime, ha preso delle posizioni contro il servilismo di certi intellettuali e ne ha pagato le conseguenze. «Nell’aprile del 1991 sono stata arrestata ad Hanoi e ho vissuto sette mesi in pieno isolamento. Non potevo vedere i miei figli e quotidianamente venivo sottoposta a interrogatori estenuanti. Poi, un giorno, la sorpresa: un secondino mi annunciò che qualcuno si stava occupando di me». Huong ricorda di quando Danielle Mitterand insieme a un premio Nobel hanno perorato la sua causa: «Grazie al loro intervento e a una serie di garanzie economiche concesse al mio governo, sono stata liberata. Senza di loro sarei marcita in prigione a fuoco lento».
Difficile e insieme appassionante è la conversazione con questa signora dal francese incerto, dall’enigmaticità orientale e dall’udito debole per via dei bombardamenti in tempo di guerra. Parliamo di tutto, del periodo della censura, dei suoi romanzi banditi nelle librerie, della breve parentesi del doi moi, il rinnovamento, l’equivalente vietnamita della perestroika gorbacioviana; parliamo della complessità del suo Paese così difficile da decifrare per noi occidentali; un Vietnam aperto al turismo ma dalla democrazia ancora dubbia, dove un numero sorprendente di gruppi etnico-linguistici convivono, così come le diverse religioni non riconosciute dal governo (buddhista, taoista, confuciana, caodaista, musulmana e cristiana). «La fede? - chiosa - fortunato chi ce l’ha». Sono durissime le accuse che la scrittrice cinquantottenne (ma ne dimostra una quindicina di meno) muove nei confronti del suo Paese, dei suoi connazionali e soprattutto del partito comunista e di quella borghesia rossa che a suo avviso hanno saccheggiato e continuano a saccheggiare le risorse del Vietnam. Ne ha per tutti la Nostra, e senza peli sulla lingua, incurante delle reazioni che potrebbe suscitare. «Durante la guerra mi avevano chiesto di entrare nel partito ma ho rifiutato. Già da giovane avevo una mia dignità e non intendevo mischiarmi con gente mediocre».
Un’avversione verso una classe dirigente arrogante e crudele che la scrittrice denuncia anche nel suo libro bandito in Vietnam (Oltre ogni illusione, Garzanti): un romanzo dalla scrittura femminile e vagamente sentimentale che esprime la condizione in cui si viveva. «I comunisti da noi erano quelli che avevano condotto una guerra vittoriosa contro i francesi, una “guerra divina” che ha liberato il mio popolo. A quel tempo non erano ancora così corrotti ma in seguito il potere li ha resi crudeli e hanno tradito i loro stessi ideali. Oggi la retorica della vittoria è uno strumento utilizzato per governare con la coscienza pulita». Huong ricorda come durante il regime tutti vivevano come in un gregge. Il cibo veniva razionato: 100 grammi di carne al mese agli studenti e ai bambini; 300 ai dirigenti di primo livello e 500 ai quadri superiori. «Era una società-caserma; una società militarizzata dove solo l’élite viveva bene mentre la gente semplice languiva». Quello che colpisce nell’autrice è soprattutto la durissima presa di posizione contro il popolo vietnamita che lei definisce «debole e vile. I vietnamiti sono così. Per questo il regime può continuare a fare quello che vuole: la gente è passiva, fatalista, per nulla reattiva. E il potere se ne approfitta, mantiene un clima di paura e controlla la popolazione come meglio crede». Non vede via d’uscita? «No, fino a quando la gente rimane docile. Il comunismo sopravvive in quei paesi come Vietnam, Cina, Cuba e Corea del Nord dove gli è consentito di sopravvivere. Il marxismo e il comunismo hanno schiacciato milioni di individui. Sono utopie fallimentari che hanno attraversato tutte le epoche. Sono irreali, anacronistiche, lontane dalla realtà». Secondo lei qual è la società perfetta? «Non esiste - sorride Huong - La perfezione non è cosa di questo mondo. Però esiste la democrazia».
E in Vietnam? «È ancora un sogno per gli asiatici. Sono ancora troppo poveri e ignoranti. Inoltre non hanno un senso civico, non conoscono i loro diritti, vegetano. Ed è proprio per questo che voglio restare nel mio Paese, per combattere come scrittrice, in nome della verità e contro la corruzione. Mi sento una combattente, la mia vita è stata sufficientemente dura e non ho più nulla da perdere». Non ha paura? «No». Dove si trova secondo lei la vera democrazia? «Da voi. Non sapete la fortuna che avete. Non siete consapevoli di essere nati dalla parte giusta.

Non avete passato quello che abbiamo dovuto passare noi. Lasciate che ve lo dica: l’Europa e gli Usa, nonostante l’antiamericanismo imperante, sono degli ottimi esempi di democrazia». Convinta? «Convintissima».
m.gersony@tin.it

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