Roma - Ci sono storie che, figlie di un’epoca precisa, poi le oltrepassano tutte, perché raccontano valori che sono validi sempre. La storia di Bakhita è tipicamente ottocentesca; eppure sembra scritta oggi. Ha ragione il responsabile di Raifiction, Max Gusberti, quando afferma che «pur vissuta un secolo fa Bakhita è modernissima, perché esprime il desiderio di libertà interiore che è negli uomini di tutti i tempi». Questa Bakhita, insomma - miniserie presentata ieri al Roma Fiction Fest, prossimamente sui teleschermi Rai - poteva essere una bella occasione, per far conoscere al grande pubblico la storia oscura dell'ex schiava sudanese, nata in catene nel 1869 e assurta alla gloria degli altari il 1º ottobre del 2000, grazie alla santificazione di Giovanni Paolo II. Ma rischia di diventare quasi un’occasione sprecata. Quella che i telespettatori seguiranno, infatti, è un'altra storia, solo «liberamente ispirata» alla vera vicenda della schiava divenuta santa; ma in realtà ampiamente riscritta dagli sceneggiatori Soldi e Gentili, assieme al regista della fiction, Giacomo Campiotti. È il solito problema: certe biografie tv sono prontissime a sfruttare l’immagine di un protagonista accreditato; ma poi sembrano proprio loro le prime a non crederci fino in fondo. «Noi dichiariamo chiaramente che Bakhita è solo “liberamente ispirato” ai fatti reali - obbietta Campiotti - Il fatto è che sulla vera Bakhita, soprattutto della sua vita in Africa, si sa pochissimo. E allora abbiamo cercato di ricostruire gli avvenimenti, rispettandone la sostanza e lo spirito. Quel che contava era non tradire l’essenza del personaggio». Ma perché, a fronte di una vicenda vera e già appassionante di suo, se n’è dovuta inventare una romanzesca e melodrammatica? Perché gli italiani che comperano Bakhita, schiava già a 4 anni, coll’intenzione di liberarla, che la portano in Italia per farne la balia dei propri figli, e che infine le consentono di restare presso le suore Canossiane di Venezia, dove la ragazza s’avvicinerà alla fede fino alla vocazione, si trasformano nel personaggio del cattivissimo Federico Marin (l’attore Fabio Sartor), che tiranneggia la ragazza per anni, tormentandola in tutti i modi, e con l’aiuto del perfido cugino Guido (Ettore Bassi) tenta di riportarla con sé in Africa? «Comprendiamo l’esigenza del rispetto storico - spiega lo sceneggiatore Gentili -. Per questo abbiamo letto attentamente i documenti, abbiamo parlato con le suore Canossiane e fatto in modo che i nostri cambiamenti fossero tutti nello spirito del personaggio. In realtà abbiamo modificato solo ruoli e fatti di contorno; raccontato le virtù di Bakhita attraverso vicende diverse; ma solo per ottenere una maggiore chiarezza. Ogni scelta è opinabile, certo. Ma ci auguriamo che coloro che hanno conosciuto la vera Bakhita condividano il nostro punto di vista».
Girato in Burkina Faso per la produzione Titania, ricorrendo a comparse locali «che non avevano mai visto un televisore e neppure sanno cosa sia il cinema», racconta Campiotti, Bakhita è impersonata dalla senegalese Fatou Kine Boye, venticinque anni, commessa di negozio, alla prima esperienza d’attrice. «Per me è stato tutto un sogno - confessa -. M’è capitato all'improvviso e non so se, dopo, continuerò a fare cinema». Il cast, costituito anche da Stefania Rocca, Ludovico Fremont e Sonia Bergamasco, è completato da Francesco Salvi, nei panni (anch'essi inventati) di padre Antonio. «Inizio come don Abbondio e finisco come don Milani - sintetizza l’attore -. Nel senso che interpreto un prete che, succube del cattivo Marin, grazie all’incontro con la ragazza nera avrà un risveglio della propria coscienza cristiana». «C’è un punto di vista del racconto che mi sembra particolarmente valido - analizza Gusberti -. Il fatto che anche nel cuore del Veneto bianco batta lo stesso cuore di tenebra che batte in Africa. Che anche in Italia, cioè, Bakhita venga schiavizzata e ridotta in condizioni di servaggio.
Ma nel Cristo crocifisso la ragazza scoprirà la possibilità di affrancarsi; di recuperare, attraverso un faticoso cammino, quella libertà, soprattutto interiore, di cui la società degli uomini bianchi l’aveva privata. Un tema, come si vede, sempre attualissimo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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