«La miseria? Qui non significa non avere soldi»

«È un’offesa ai Paesi del Terzo mondo parlare di miseria in Svizzera »

Se l’allarme sulla diffusione dell’indigenza in Ticino non risparmia il mondo politico e l’opinione pubblica, c’è chi invece prende le distanze. A farlo è Roby Noris, direttore di Caritas-Ticino. «Parlare di povertà in Svizzera – dice - è un’offesa nei confronti delle nazioni vicine, ma soprattutto dei Paesi del Terzo mondo. Certamente, si vive meglio con 10mila franchi al mese. Chi può contare sui sussidi cantonali non potrà andare in vacanza alle Maldive, ma può condurre sicuramente una vita dignitosa. Il reddito minimo vitale, difatti, è garantito a tutti». Per contro le autorità parlano di 800mila poveri in Svizzera, di cui 20mila in Ticino. Un quadro che per Noris non corrisponde alla realtà. «Le varie forme di povertà in Svizzera – afferma – non si manifestano col non avere i soldi. Qui si registrano le malattie tipiche dei Paesi ricchi. La gente si ammala perché non ha un posto nella società. Certamente ci sono i disperati, chi non può progettare un futuro, ci sono gli emarginati: i tossicodipendenti, chi ha un basso livello di formazione. Questi sono sicuramente dei problemi, ma non c’è quello dello sfamarsi, né di non avere i soldi per andare al cinema». Provvede, difatti, il Cantone, con una rete di protezione sociale che assicura a tutti delle entrate ogni mese. Ma anche la Svizzera è in crisi: un tasso di disoccupazione del 4% per gli standard elvetici è un livello elevato, soprattutto perché sollecita un Welfare State molto sviluppato. E i conti iniziano a non tornare più.
La Caritas in Ticino si occupa dei disoccupati di lunga durata. L’associazione offre loro la possibilità di essere inseriti in aziende. Vengono impiegati in attività di diverso tipo, come l’orticoltura e il riciclaggio. Ad esempio, abiti, rifiuti elettrici ed elettronici vengono recuperati, lavorati e rivenduti. «Piagnucolando sulla povertà – dice il direttore – non si ottiene di certo una maggiore solidarietà nei confronti dei disoccupati.

Questi ultimi non hanno bisogno di soldi, ma di posti di lavoro».

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