di Nicola Porro e Maddalena Camera
Per Franco Bernabè quella di ieri è una trimestrale importante: l’ultima prima del bilancio che chiude i suoi tre anni alla guida di Telecom Italia. Bernabè, si intuisce, si attende ora dai soci Telco, la holding che controlla la società telefonica, una riconferma. Le voci che lo vedevano in uscita sono infatti ormai sopite. L’ad ha rilanciato il Brasile,ha risolto con successo la vicenda Argentina, ha chiuso un innovativo accordo sindacale ed è riuscito a mantenere i margini riducendo i costi. «Quanto sono arrivato - ha spiegato Bernabè nella sede milanese di Telecom Italia- l’idea che circolava è che non c’era altrastrada se non quella di vendere pezzi della società visto il grande debito che la soffocava. Il mio approccio è stato opposto. Non ho ceduto le partecipazioni importanti all’estero come il Brasile e l’Argentina. E anche la rete l’ho mantenuta. L’Italia ha già perso delle grandi aziende e non possiamo permetterci di perderne un’altra. Telecom e la sua rete sono uno degli asset più importanti per l’intero sistema paese. Del resto avevo fatto la stessa cosa all’Eni. Volevano che vendessi Snam e Agip ma non l’hofatto e il tempo mi ha dato ragione. Al contrario l’Iri è stata smantellata».
Però ha venduto le partecipazioni in Germania e in Francia?
«Erano prive di importanza strategica in mercati maturi come l’Italia mentre il Sud America cresce inmaniera esponenziale e non è un mercato protetto come la Cina nè difficile come l’India.
Venderemo anche la partecipazione a Cuba. Non potremo mai consolidarla».
Si dice che stiate lavorando all’accorciamento della catena di controllo in Argentina e al creazione di una holidng sudamericana?
«Falso, riguardo alla holding. Stiamo lavorando invece a semplificare la struttura Argentina per avvicinare la cassa. Queste due controllate varranno circa un quarto dei nostri margini totali».
Se potesse, farebbe shopping in quell’area?
«Non c’è nulla al momento. Ma quella parte del mondo è oggi strategica».
In Sud America avevate il problema del vostro ingombrante socio Telefonica?
«Si ma abbiamo risolto il problema di governance con le Authority di quei paesi. I rappresentanti di Telefonica quando prendiamo decisioni in Sud America non partecipano ai nostri consigli».
Passando al mercato interno c’è stata una discesa dei ricavi nella telefonia mobile?
«È vero. I ricavi non sono più quelli di un tempo. Abbiamo dovuto creare delle tariffe trasparenti e competitive. I prezzi del mobile sono scesi del 25% rispetto a un anno fa. La generazione di cassa però è rimasta stabile perchè siamo riusciti a ridurre i costi di 1,2 miliardi trasferendo questi risparmi ai consumatori. I nostri clienti consumano molto più traffico, ma pagano meno».
Insomma, pari redditività,
ma con fatturato ridotto?
«La notizia positiva è che il churn rate (è il tasso di abbandono dei clienti ndr) degli utenti Tim è sceso del 26% perchè il servizio è migliore e i prezzi sono più bassi».
E quindi?
«I nostri clienti adesso valgono di più rispetto a quanto valevano tre anni fa perchè resteranno con noi almeno 5 anni rispetto ai 2,5 di prima.
L’impatto positivo sui conti si vedrà nei prossimi anni. Abbiamo un net present value molto superiore al passato».
Tra i vostri clienti ci sono anche gli operatori concorrenti.
Il vostro rapporto non è certo dei migliori.
«È un rapporto trasparente. Appena sono arrivato ho fatto Open Access una società per la gestione della rete che serve il nostro servizio commerciale e loro nello stesso modo».
Però sono andati fino a Bruxelles per protestare sul loro aumento del canone ( unbundling)?
«Si e alla fine l’Ue ha detto che il meccanismo di calcolo è corretto e solo i costi di manutenzione della rete sono un po’ elevati».
Alla fine l’Authority potrebbe limare l’aumento dei costi di unbundling?
«Spero che non lo faccia, tutta la manovra è corretta e trasparente come ha riconosciuto la stessa Commissione e comunque se lo facesse non potrebbe che essere per un importo marginale».
C’è però un fronte dove siete alleati ossia contro Google, Facebook o Ebay che con la rete fanno enormi fatturati.
«Il problema è il trattamento dei dati personali dei clienti. Loro possono, ad esempio, mandare pubblicità mirata ai loro utenti noi no, anzi siamo pure obbligati a distruggere la banca dati dei nostri clienti dopo un certo periodo. Chiediamo che la regolamentazione sia la stessa per tutti».
Si sente il manager di una public company o di una società controllata da un nocciolo di azionisti?
«Nel mondo le grandi aziende telefoniche o sono controllate dallo Stato o sono public company. L’idea che un privato le possa controllare è irragionevole date le loro dimensioni. Gli attuali soci sono istituzioni finanziarie che garantiscono la stabilità e una governance che non può che essere trasparente come quella di una public company».
Lei ha fama di cambiare spesso i manager di Telecom (il riferimento è a Fabrizio Bona, responsabile della rete mobile che sta uscendo dal gruppo anche se Bernabè non conferma e non smentisce ndr)?
«L’azienda deve formare una squadra e fare tutto quello che è necessario perchè un gruppo di dirigenti coeso persegua con coerenza e determinazioni le strategie. Non cambiamo le strategie di riposizionamento commerciale che abbiamo intrapreso. E comunque nei primi anni di Eni ho cambiato circa 300 dirigenti».
Gli azionisti, compresi i piccoli, sono stanchi di un titolo inchiodato intorno all’euro.
«Il rilancio è già iniziato nonostante lo scetticismo del mercato. Quando ero all’Eni mi invitavano a seguire le orme di Enron sull’energia virtuale che andava tanto di moda... Credo nell’azienda e nel titolo. D’altronde ne ho comprati molti io stesso».
Dica la verità non si aspettava che Mentana le facesse una media di ascolti all’8 per cento per il suo Tg?
«Non posso che essere soddisfatto e sta contribuendo in maniera sostanziale al rilancio de La7 , un’altra cosa che tutti mi chiedevano di vendere».
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