Missione lampo Sei Tornado in azione. E ora siamo in prima linea

RomaAdesso siamo in guerra anche noi. Tre Tornado italiani sono decollati intorno alle 20 dalla base di Trapani, destinazione Libia. Altri tre jet mezz’ora dopo. L’operazione è poi terminata alle 22:20 quando tutti i velivoli sono rientrati alla base italiana. Le lancette dell’orologio dell’operazione Odyssey Dawn corrono svelte e le parole registrate in un’ora rischiano di essere superate dagli eventi e dalle azioni militari. «Per ora l’Italia metterà a disposizione soltanto le proprie basi», aveva detto Berlusconi al termine del vertice di Parigi di sabato. Quel «per ora» è durato fino alle 23 di sabato quando gli alleati hanno chiesto al governo di intervenire direttamente alle operazioni militari. È stato il ministro della Difesa Ignazio La Russa a renderlo noto nel corso della trasmissione In mezz’ora: «Dalle 23.59 l’Italia ha messo a disposizione 8 aerei». Di questi, 4 caccia F-16 devono neutralizzare la contraerea libica e 4 Tornado sono invece specializzati nelle misure di guerra elettronica. «Ma è possibile che si aggiungano altri assetti», ha specificato La Russa confermando che «tutte le operazioni verranno gestite dal comando di Napoli». Sempre La Russa ha spiegato che non c’è una posizione mediana dell’Italia, tra l’interventismo francese e la non belligeranza tedesca: «Partecipiamo a pieno titolo alla missione e una cosa è certa: non è intenzione dell’Italia mettere caveat al proprio intervento». Tradotto: siamo della partita senza tentennamenti e, anzi: «Da oggi i nostri aerei compiranno azioni». Così è stato.
Di fatto siamo in guerra, sebbene il presidente della Repubblica Napolitano abbia messo l’accento sulla questione strettamente giuridica dell’operazione: «Non siamo entrati in guerra ma siamo impegnati in un’azione autorizzata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni unite». E ancora: «La carta dell’Onu prevede un capitolo, il settimo, il quale nell’interesse della pace ritiene che siano da autorizzare anche azioni volte con le forze armate a reprimere la violazione della pace». Poi la motivazione più politica: «In Libia abbiamo avuto una repressione forsennata e violenta rivolta contro la stessa popolazione libica da parte del governo e del suo leader Gheddafi». Ma al di là dei tecnicismi, l’Italia di fatto ha cominciato ad attaccare la Libia assieme agli alleati. Noi siamo i vicini più prossimi e se è stato scongiurato il rischio di una rappresaglia da parte di Gheddafi con missili in grado di colpirci, l’allerta è alta. Il Colonnello ci ha citato esplicitamente: «L’Italia ci ha tradito come Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti - ha tuonato in un messaggio tv -. E l’Occidente cadrà come sono caduti Hitler e Mussolini». Propaganda. Ma la vera minaccia è una medaglia a due facce. La prima è che il nostro Paese venga preso d’assalto da migliaia di profughi in fuga; la seconda è che qualche estremista islamico «in sonno» decida di colpire con l’odiosa arma del terrorismo. Motivo per cui una circolare inviata dal capo della polizia Manganelli a questori e prefetti ha chiesto di rafforzare le misure di sicurezza.
Mentre la Farnesina ha reso noto che «l’Italia ha fino a ora congelato beni riconducibili al regime di Gheddafi per sei-sette miliardi di euro, applicando le sanzioni delle Nazioni unite sia verso individui che entità libiche», il ministro degli Esteri Frattini ha spiegato: «Vogliamo condividere problemi ma anche partecipare a questa nuova Libia che verrà».

Un messaggio agli alleati: «Dobbiamo escludere l’ipotesi che l’Italia resti sola, solamente perché geograficamente è vicina alla Libia così che i problemi siano i nostri e i vantaggi di altri». Tradotto: siamo in prima linea e pretenderemo un ruolo di primo piano nel dopo raìs ma soprattutto esigeremo ascolto e aiuti quando si abbatterà su di noi l’ondata immigrati.

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