Non ci sono miti da imbalsamare e neppure divinità maggiori o minori. C'è solo un filo rosso, neppure troppo sottile, che nei giorni della guerra del pane unisce il coro di protesta di Tunisia e Algeria. Una convergenza di natura sportiva che diventa solidarietà tangibile verso chi manifesta (e muore) per lo spropositato aumento del grano. Sabato l'Esperance di Tunisi, la squadra più blasonata del locale campionato, ha messo in scena un boicottaggio in diretta televisiva. I «Sang et Or», come vengono soprannominati, si sono fatti infilare cinque volte dall'Etoile du Sahel per protesta contro il presidente Hamdi Meddeb. I calciatori contestano la decisione dell'imprenditore, proprietario di una nota azienda di yogurt in Italia resa celebre dal volto di Ciro Ferrara, di versare al nuovo allenatore Nabil Maaloul uno stipendio da 70mila dollari al mese. Tutto questo mentre a pochi passi dallo stadio di Rades (9 chilometri da Tunisi) si scatena l'inferno per pochi spiccioli.
Non ci sono traditori o codardi tra gli atleti che nelle ultime due stagioni hanno vinto il campionato. Esiste però una coscienza alla quale questi ragazzi sanno di dover rendere conto. Lo stipendio di Meddeb per loro è uno schiaffo alla miseria, soprattutto se si considera che nella Ligue 1 solo le squadre finanziate dagli sponsor riescono a pagare uno stipendio (circa tremila dollari al mese) ai giocatori tecnicamente più validi. Gli altri si devono accontentare di un rimborso tirando a campare con i mestieri più svariati. E' una regola che vige in buona parte del maghreb. Il caso più clamoroso riguarda l'attaccante egiziano Mohamed Nagy Gedo. Prima di vincere la classifica cannonieri della trionfale Coppa d'Africa in Angola, e diventare professionista, raccattava qualche sterlina scaricando casse in un negozio di frutta e verdura. Parecchi calciatori tunisini sono studenti, molti svolgono i lavori più impensabili e il rimborso dei club diventa quasi un'eredità improvvisa.
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