Mondo

Il mistero del fiume Brass: cosa è successo al superpozzo Eni in Nigeria?

Un comunicato della compagnia petrolifera italiana si limita ad annunciare che «per cause di forza maggiore» non rispetterà le consegne. Forse un attacco ribelle dietro il blocco dell'estrazione

Il mistero del fiume Brass: cosa è successo al superpozzo Eni in Nigeria?

Si chiama «clausola di forza maggiore», ed è quella che le compagnie petrolifere invocano quando devono ridurre le forniture di greggio per cause indipendenti dalla loro volontà: l'Eni l'ha fatta scattare oggi con un comunicato di poche righe in relazione alla sua attività di prelievo lungo il fiume Brass, in Nigeria. Cause di forza maggiore avrebbero costretto praticamente a dimezzare la produzione di petrolio del Brass, che sono scese da circa 132mila barili al giorno a poco più di 70mila.
Eni non specifica quali siano le cause che hanno costretto a ridurre l'attività di pompaggio, ma un lancio dell'agenzia Reuters che cita «fonti del settore» ipotizza che le condutture potrebbero essere state danneggiate. Si tratterebbe insomma di un remake del film già visto nel maggio di tre anni fa, quando l'estrazione italiana dal Brass River era stata bruscamente ridotta a causa di un sabotaggio realizzato dalle formazioni ribelli che infestano la zona più meridionale della costa nigeriana. Un remake, peraltro, annunciato con un comunicato poco più di un mese fa: il 4 marzo una delle fazioni in gierra sul Delta del Niger aveva annunciato di avere attaccato un impianto petrolifero italiano, e aveva invitato le aziende straniere ad abbandonare la regione, minacciando in caso contrario nuovi attacchi.
Le forze armate regolari avevano smentito l'attacco, «ho parlato con i miei uomini a Tura Manifold e hanno negato di avere avuto alcun impatto con guerriglieri», aveva detto un portavoce governativo.
Ma la tensione, evidentemente, ha continuato a salire. A annunciare gli attacchi era stato il Joint Revolutionary Council (JRC), una coalizione di miliziani e di leader di comunità finora non conosciuta per imprese di questo genere. Ma che ora, prima di attaccare gli impianti italiani, avevano già sabotato una struttura della Royal Dutch Shell nella stessa zona. Gli attacchi segnano la rottura di una tregua seguita al programma di amnistia varato dal presidente Umaru Yar'Adua last l'anno scorso e che aveva portato migliaia di guerriglieri a deporre le armi. Ma la lunga assenza di Yar'Adua per malattia avrebbe causato l'impasse del programma di amnistia, spingendo molti gruppi a riprendere le armi.
Gli attacchi agli impianti petroliferi stranieri - che forniscono linfa vitale all'intera economia nigeriana - sono da sempre uno degli strumenti preferiti dalle fazioni ribelli per tenere sotto schiaffo il governo centrale.

Specialisti in questo genere di attacchi erano stati finora i miliziani del Movimento per la liberazione del delta del Niger, il gruppo più importante della guerriglia, che però il mese scorso avevano negato di essere coinvolti nell'attacco alla Shell.

Commenti