MITICO EROS L’unico tiranno che si fa amare

Al Colosseo una mostra dedicata alle rappresentazioni artistiche del dio nel mondo greco e romano. Un’invincibile forza della natura lontana dal sentimento di oggi

L’amore è un bimbo. «Puer est!» esclamava Ovidio nella sua Arte d’amare, manuale di seduzione scritto ai tempi dell’imperatore Augusto. Educatelo come si fa con i bambini: insegnategli a essere al vostro servizio. L’amore è un grande gioco da giocare con furbizia e abilità. Ma l’amore è anche un dio. Eros nasce direttamente dal Caos, della voragine primitiva che è la matrice dell’universo. Ai tempi della Grecia arcaica, il poeta Esiodo descriveva, nella sua Teogonia, la nascita portentosa di questo essere onnipotente, «che doma la volontà di uomini e dei». Ma a questo punto Socrate potrebbe interromperci e ripetere ciò che dice nel Simposio di Platone: Eros è altro, un demone figlio della Povertà e dell’Espediente, è la forza che ci rende sempre insoddisfatti e ci spinge a cercare qualcosa di altro da noi, la bellezza sovrumana nascosta sotto le spoglie di una bellezza mortale. Insomma: chi è Eros?
L’occasione per guardarlo in faccia si potrà avere da oggi fino al 16 settembre al Colosseo, in una mostra che si intitola semplicemente «Eros». Si potranno vedere tutte le maniere in cui greci e romani hanno dato un volto a questa creatura enigmatica. Eros ha sempre avuto le ali? Sì, forse perché, come cantavano i poeti, egli si avventa sugli uomini rapido e furioso come un vento. È sempre stato quel dolce puttino che vediamo svolazzare nell’arte di ogni tempo? Non sempre. Lo scultore Prassitele lo ritrasse come un efebo, un giovane adolescente, già piuttosto ben piazzato, come dimostra il torace muscoloso di alcune copie romane. L’opera di Prassitele era peraltro stata realizzata per il santuario di Tespie, in Beozia, dove Eros era venerato come dio e ogni quattro anni si svolgevano grandi feste e gare in suo onore.
Più tardi, nell’epoca successiva ad Alessandro Magno, Eros diventa il puttino che conosciamo, figlio capriccioso di mamma Afrodite. Apollonio Rodio, raffinato poeta alessandrino del III secolo a.C., lo descrive mentre sull’Olimpo gioca agli astragali (una sorta di dadi fatti con ossicini di animali) con il bel Ganimede, coppiere degli dei, che Zeus, appunto per amore, aveva rapito trasformandosi in aquila: ai dadi Eros vince, ovviamente barando.
Capriccioso come un bambino, comunque, Eros è sempre stato. Fin dall’età arcaica i poeti lo immaginano mentre si gioca spensieratamente a dadi la vita e la felicità degli uomini. Essere rappresentato come un bambino non significa di per sé essere dolce e tenero: nulla di più crudele dei bimbi, «polimorfi perversi», come diceva Sigmund Freud.
In verità, per capire le immagini in mostra dobbiamo uscire dalla nostra concezione secolarizzata, sociologizzata e sovente melensa dell’amore. Dobbiamo scordarci di San Valentino e dei fidanzatini di Peynet. Per gli antichi Eros non era neppure un sentimento, una pulsione soggettiva. Era una costrizione, una forza oggettiva. Eros era tiranno: i greci non dicevano «io ti amo» ma «amore mi prende». Eros indicava semplicemente il desiderio, non l’amore come l’intendiamo noi. Era la pulsione bruciante che ti spingeva irresistibilmente verso qualcosa o qualcuno. Un guaio da risolvere. Il filosofo cinico Diogene, quello che viveva in una botte, lo affrontava con la masturbazione: «Magari potessi farmi passare anche la fame solo grattandomi la pancia», diceva.
Eros era un tiranno crudele; alla felicità amorosa pensava sua mamma, Afrodite: «le cose di Afrodite», «ta afrodisia», chiamavano i greci il rapporto sessuale. Eros è invincibile: i poeti lo immaginavano come un pugilatore insuperabile, un guerriero spavaldo. Anche quando non appare a prima vista, la natura divina di Eros è sempre presente nella cultura greca. Forse non altrettanto in quella romana, più mondana, più disincantata, meno propensa a proiettare il quotidiano su uno sfondo soprannaturale. Ma per i greci «Eros è un dio», come recita il titolo del nuovo libro di Eva Cantarella, che Feltrinelli pubblicherà a fine mese: un racconto di storie, saghe e leggende dell’antica Grecia che segue il filo rosso dell’eros. Il libro riprende una trasmissione radiofonica condotta da Eva Cantarella su RadioDue, che si chiamava Sex and the Polis. E mostrava appunto la sostanziale differenza fra la cultura antica e quella moderna in fatto di eros.
Le gioiose e spesso libertine immagini raccolte nella mostra al Colosseo non devono farci pensare che greci e romani vivessero il sesso sempre senza tabù. Le ateniesi perbene se ne andavano in giro velate come nell’Afghanistan dei talebani. Anche l’omosessualità era esperienza tutt’altro che problematica, come a volte si crede. Ad Atene era ammesso il rapporto tra un adulto e un fanciullo, in un contesto e con una funzione educativa.

Ma guai al ragazzo che avesse avuto l’impudenza di fare il primo passo, o all’adulto che si fosse unito a un altro adulto: gli insulti agli «invertiti», non riferibili ma facilmente immaginabili, che abbondano nelle commedie di Aristofane danno l’idea di come la pensasse l’opinione pubblica.

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