«Creare una piccola rivista settimanale per ragazzi: istruttiva ma che non stanchi lattenzione dei lettori, educatrice ma senza annoiarli, interessante senza sforzarne limmaginazione, divertente ma senza sguaiataggini e volgarità». Questo il programma di Luigi Bertelli, più conosciuto con il nome darte Vamba (con cui firmò il celebre romanzo Il giornalino di Gian Burrasca), quando nel 1906 fondò Il giornalino della Domenica, un settimanale che fece epoca e che è stato fonte di grande ispirazione anche per i successivi periodici dedicati ai lettori più giovani, a partire dal Corriere dei piccoli.
Vamba, autodidatta nato a Firenze nel 1858, nei suoi editoriali non mancava mai di ricordare che con questa rivista si proponeva di educare e divertire i lettori dai 7 ai 15 anni della «buona ed operosa borghesia» dellepoca. Anche per questo Il giornalino rappresentò, almeno nel panorama italiano del primo Novecento, un modo completamente nuovo di fare editoria. Il format, come lo chiameremmo oggi, si presentava come un vero e proprio «contenitore» di rubriche fisse, racconti e fascicoli allegati. Dedicato ai più piccoli ma rivolto a tutti. Al Giornalino, infatti, collaboravano scrittori come Grazia Deledda, Giovanni Pascoli, Edmondo De Amicis, Emilio Salgari.
E proprio un inedito di Salgari, Il pazzo del faro, è il racconto che in queste pagine presentiamo in anteprima: da allora non era stato mai più riproposto e oggi rivede la luce grazie alla pubblicazione del volume Il giornalino della Domenica, curato da Claudio Gallo e a giorni in libreria per la casa editrice BD (pagg. 144, euro 14). Il libro, arricchito da una sezione a colori interamente dedicata alle copertine più belle e ai primi esempi di fumetti italiani pubblicati proprio sul Giornalino, raccoglie gli scritti dimenticati dei suoi collaboratori più illustri e racconta come questa rivista abbia contribuito alla storia dItalia. Fatta lItalia, bisognava fare gli Italiani. E Vamba iniziò dai più piccoli.
Il pazzo del faro di Emilio Salgari è un documento preziosissimo perché rivela un aspetto inedito dello scrittore veronese, inventore di Sandokan e del Corsaro Nero. Salgari, infatti, non fu soltanto lo scrittore davventura che tutti conosciamo, non fu soltanto il Jules Verne italiano, ma anche un autore raffinato capace di costruire racconti con una doppia chiave di lettura. Quella della semplice prosa di intrattenimento ma anche quella, mai troppo indagata, di attento e fin troppo fine osservatore politico. In pochi, a esempio, ricordano che proprio lo scrittore veronese fu il primo a intuire che il vero pericolo per una nazione sarebbe venuto dal terrorismo.
E già nel 1906, quando scrisse questo racconto, Salgari ipotizzò per il problema terrorismo una soluzione drastica, ma non certo peggiore di altre immaginate ai giorni nostri (a esempio, le carceri di massima sicurezza): il confino in luoghi inaccessibili, ma autosufficienti e autogovernati, come le città galleggianti negli oceani o il Polo Nord: lì sono mandati da America, Europa e Asia tutti gli «esseri pericolosi che turbano la pace» della società, dato che «il mondo ha il diritto di vivere e di lavorare tranquillamente senza essere disturbato. Chi secca si manda nel regno delle tenebre e vi assicuro che nessuno piange».
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