Mobbing, un’accusa di moda che colpisce anche i vescovi

TarantoIl pubblico ministero chiede l’archiviazione, ma il gip ordina di formulare l’imputazione coatta. E così, per l’arcivescovo di Taranto, monsignor Benigno Luigi Papa, si profila una richiesta di rinvio a giudizio a conclusione di un’inchiesta in cui vengono ipotizzati i reati di lesioni colpose e maltrattamenti: la vicenda riguarda un presunto caso di mobbing ai danni di un’impiegata della Edas-Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta) di Taranto e il prelato risulta coinvolto per un presunto comportamento omissivo in quanto – ritiene il giudice per le indagini preliminari –, pur essendo a conoscenza della situazione, non sarebbe intervenuto per impedirla.
Gli accertamenti sono cominciati dopo il licenziamento della dipendente, avvenuto il 16 marzo del 2005. La donna, che oggi ha 49 anni, ha presentato denuncia sostenendo di aver subito un comportamento persecutorio sul posto di lavoro e ha accusato la professoressa Marinella Sibilla. La docente, che insegna nel corso di laurea in servizio sociale, nel 2008 è stata rinviata a giudizio insieme all’ex direttore amministrativo e coordinatore didattico dell’ente, don Antonio Panico, per mobbing: nei loro confronti vengono infatti ipotizzati i reati di lesioni colpose e maltrattamenti. Il pubblico ministero ha invece chiesto l’archiviazione non solo per l’arcivescovo, ma anche per l’ex vicario della diocesi, monsignor Nicola Di Comite, presidente del consiglio di amministrazione e responsabile del personale dell’Edas-Lumsa di Taranto; la parte lesa però si è opposta e il giudice per le indagini preliminari ha disposto che venga formulata l’imputazione per entrambi: tutti e due sono accusati di un comportamento omissivo in quanto – ritiene il gip – non avrebbero impedito quella situazione di mobbing. E così, si profila un nuovo capitolo giudiziario in una vicenda che va avanti da diversi anni e che ha destato grande clamore in Puglia. E il caso è tutt’altro che chiuso. Al contrario, la battaglia giudiziaria è ancora all’inizio e l’avvocato Egidio Albanese, difensore dell’arcivescovo, si mostra ottimista. «Abbiamo fiducia nella giustizia e siamo certi di dimostrare l’estraneità del prelato in sede di udienza preliminare», dichiara il legale, che ha chiesto l’interrogatorio di sessanta testimoni.
L’impiegata, assunta oltre vent’anni fa, si occupava di archivio, immatricolazione degli studenti, organizzazione delle lezioni e degli orari. Sul lavoro è sempre stata apprezzata. Ma secondo la ricostruzione dell’accusa, la dipendente, tra il ’99 e il 2005, avrebbe subito un atteggiamento persecutorio con minacce, rimproveri e carichi di lavoro sempre più pesanti. Proprio questo comportamento le avrebbe causato un grave stato di stress e depressione: problemi di salute che l’impiegata ha documentato presentando anche certificati medici. Nel marzo del 2005 è stato firmato il licenziamento; successivamente la donna ha deciso di rivolgersi alla magistratura e sono scattati gli accertamenti. La Procura ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per Sibilla e Panico, mentre ha avanzato istanza di archiviazione per l’arcivescovo e monsignor Di Comite: il gip però ha disposto ulteriori indagini, il pubblico ministero ha reiterato la richiesta di archiviazione ma è stata invece ordinata la formulazione dell’imputazione coatta.

Il giudice per le indagini preliminari ha accolto l’impostazione dell’avvocato Raffaele Errico, difensore della parte lesa, stabilendo che l’arcivescovo, in quanto massima autorità ecclesiastica nonché presidente dell’ente, non poteva non essere a conoscenza della situazione e avrebbe dovuto porre rimedio.

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