Quando si comincia a imitare qualcuno significa che si pensa di poterlo eguagliare prima e sorpassare poi. Dunque non se ne è già un po’ perso il senso delle dimensioni, ovvero il rispetto della grandezza? Che il mito Gomorra, a cinque anni dalla pubblicazione del romanzo di Roberto Saviano, mostrasse i primi segni di stanchezza l’avevamo già capito quando è stato scavalcato sul piano letterario dal saggio Eroi di carta di Alessandro Dal Lago (manifestolibri) e sul fronte dell’autore-personaggio da Alessandro Trocino nel suo saggio antiguru Popstar della cultura, dove Saviano viene definito il recitatore del «nuovo vangelo dell’Italia indignata».
Ora però, si assiste all’arrivo in libreria di una serie di romanzi che proprio da Gomorra prendono il via e che se quasi per certo senza Saviano non sarebbero mai esistiti, per assolutamente certo non sarebbero mai stati pubblicati da editori di nome quali Rizzoli, che ha lanciato qualche settimana fa Alveare di Giuseppe Catozzella, Fazi, che candida La città di Adamo di Giorgio Nisini addirittura allo Strega e Dalai, che il 10 maggio sarà in libreria con Gioco sporco di Gianluca Ferraris. La scommessa dunque, mentre l’estate, tempo di letture, si avvicina, è lanciata: «Ecco il nuovo Saviano».
Un po’ perché quello originale vive ancora, letterariamente, di rendita sull’esordio e gioca al momento in prestito a un editore che non sarebbe il suo con un ibrido libro «di transizione» come Vieni via con me (Feltrinelli) che certo per impatto, vendite, creatività e stile non si può paragonare a Gomorra. Un po’ perché i nomi affermati della letteratura per nascita e contenuti riconducibili all’area campana - citiamo a memoria: Antonio Pascale, Giuseppe Montesano, Andrej Longo, Diego De Silva, Antonella Cilento di parlare di camorra, monnezza e affini “alla Saviano” non ne volevano sapere prima e non ne vogliono sapere adesso, rivendicano con forza un proprio stile antecedente e proprie tematiche con forza e persino quando esordiscono prendono le distanze, come fece Massimiliano Virgilio in risposta ad una lettera di Saviano a Repubblica.
Né Catozzella, né Nisini o Ferraris sono esordienti, ma ciascuno di loro tenta per la prima volta il mescolamento tra scrittore puro e inchiestista. Epperò questo fortunato mescolamento, se lo si vuole imitare bisogna esser capaci, altrimenti si rischia il pastone incomprensibile, in cui si trucca la narrativa per avvicinarla al new journalism e le inchieste per farle «leggere come un romanzo». Catozzella, classe 1976, è quello che contiene in biografia il maggior numero di elementi “savianici”: collabora con l’Espresso ed è curatore del portale Milanomafia. Ma invece di scrivere un bel saggio stile Chiarelettere ecco che compare nella sezione «narrativa italiana» Rizzoli - lo stesso fortunato espediente utilizzato da Mondadori per il lancio di Gomorra, ovvero trasformare un’inchiesta in un romanzo. Alveare è una buona prova, con un buon incipit, in cui il protagonista narra in prima persona come veda spuntare una macchia di sangue dal polsino del vecchio barista Rino e scivolare fin dentro il suo cappuccino e poi ascolti il suo sfogo «Mi sono entrati dentro», sfinito dalle richieste di pizzo della ’ndrangheta, che gli impone ordini e forniture. Poi però è come se Catozzella si fermasse ogni due o tre paragrafi per “farci lo spiegone” e ricondurre quel che narra a vita vissuta e inchieste fatte, con il risultato che ci si incaglia: chi vorrebbe leggere un romanzo ci trova troppa inchiesta e chi cerca l’inchiesta si annoia con personaggi di fantasia.
Il raffinato Nisini, classe 1974, sociologo della letteratura, produce con La città di Adamo un aerea e tormentata indagine del figlio imprenditore agricolo sull’oscuro passato del padre. Ma i legami con la camorra, il potente boss rievocato con l’espediente del ricordo d’infanzia, la criminale cittadella truce che ci fa rivisitare paiono anche qui frutto di forzatura, per nulla indispensabili, elemento trascurabile in una ricerca intimista altrimenti interessante.
Di Ferraris, sempre classe 1976, siamo già poco invaghiti quando leggiamo l’ossimorica definizione sulla scheda di presentazione: Gioco sporco sarebbe un «romanzo non-fiction». Si preannuncia come la storia di due clan, uno campano e uno calabrese, e della loro rapida ascesa nel mondo del gioco. Una storia, dunque fiction.
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