Moda, l’uomo non passa mai Ecco il ritorno alle origini

Ci sono ritorni che hanno il sapore del nuovo, l'evoluzione basata sui veri valori per cui vale la pena di vivere e lottare. Ecco perché dalle passerelle di Milano Moda Uomo sparisce l'iperbole e ricompare la concretezza: lo spirito dei tempi impone di progettare il futuro con una solida creatività che non ha bisogno di artifici. «Torniamo alla Sicilia, a quelle immagini in bianco e nero da cui siamo partiti per costruire la nostra fortuna», dicono infatti Domenico Dolce e Stefano Gabbana poco prima di presentare una straordinaria collezione maschile per il prossimo inverno destinata a fare la differenza sul fronte del cambiamento.
Stavolta il neorealismo, lo sguardo aristocratico di Visconti ne Il Gattopardo e l'opulenza del barocco sono solo un'allusione: stereotipi culturali molto ben rielaborati nell'anima per tradurre in moda, quindi sul corpo, il sentimento di un mondo che crede nelle sue tradizioni. Quindi la coppola c'è ma diventa solo uno dei molti dettagli di un uomo capace d'alternare lusso e sobrietà, durezza della vita con intimo languore. Non manca ovviamente il nero, colore principe di quest'estetica al tempo stesso nobile e popolare, ma con la tinta della notte che domina tutto si possono fare mille sogni cromatici per cui il bianco abbacinante delle camicie sconfina nelle sinfonie di grigio dei gessati mentre dai paramenti sacri arrivano alcuni tocchi di porpora, ametista, fuxia e bordeaux. Magistrali addirittura i 13 modelli da sera fatti con nastri di seta e gros grain intrecciati a mano al posto del tessuto. Bellissimi anche i jeans con la metalleria in oro a 24 carati che da sola giustifica il prezzo (20mila euro al paio), anche se per i palati fini il vero valore aggiunto di questi modelli che una parte del mercato continua a richiedere in barba alla crisi, sta soprattutto nel taglio estremamente donante.
La morale è una sola, dura, ma impossibile da cambiare: oggi al futuro può arrivare solo chi ha fatto tesoro delle esperienze del passato per migliorare. È il caso di C.P. Company, marchio gestito da un imprenditore illuminato come Carlo Rivetti che ha alle spalle 8 generazioni di storia nel tessile-abbigliamento italiano e che ti parla di «materiali innovativi umanizzati» come il jersey di poliestere trattato fino a sembrare pelle con cui lo stilista Alessandro Pungetti ha costruito impeccabili sahariane invernali. I pantaloni stretti sotto al classico giaccone marinaro scandiscono l'immagine di un uomo speciale proprio perché molto normale, come quello emerso sulla passerella di C.P. Company.
Su quella di Costume National emerge invece un giovane romantico, misterioso, a suo modo sobrio e certo non banale che il bravissimo Ennio Capasa veste con un occhio al clima (i capi sportivi sono quasi tutti componibili, termosaldati e con tessuti microforati) ma anche con sofisticate rielaborazioni sartoriali dei capisaldi del guardaroba maschile. Esemplare in questo senso il cappotto-frac del gran finale affidato a un modello d'eccezione come Jetro, figlio del musicista Nick Cave. Per quanto interessante il taglio di capelli del ragazzo (da una parte corto, dall'altra alle spalle) fa sembrare il capo più stravagante di quello che è.

Invece i ragazzi di Burberry sfilano con curiose retine in testa del tutto funzionali per rafforzare la proposta dello stilista Christopher Bailey: una moda tranquilla, seria e poetica rielaborata in chiave moderna dalle immagini del fotografo anglo-tedesco Bill Brandt.

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