MilanoMiuccia dichiara guerra al «famolo strano» e come al solito riesce a tradurre in moda con la M maiuscola un moto dell'anima, un'esigenza tanto nuova quanto impellente della nostra società. La collezione Prada Uomo per il prossimo autunno-inverno in passerella ieri sera a Milano con un flash della pre-collezione donna per la stessa stagione, a prima vista sembra di una banalità sconcertante. «Ho lavorato sul nulla - dice infatti nel backstage -: le cose normali che la gente ha veramente voglia di mettersi, la reinvenzione del banale». Da qui ad elencare giacche o paltò color cammello, la camicia azzurra dal sapore impiegatizio, i giacconi sportivi di fustagno oppure il motivo mimetico altrimenti detto camouflage, il passo è breve. Con lei, però, non si può mai stare tranquilli e quindi parla di nuove proporzioni che nel suo caso cambiano radicalmente le carte in tavola. Tutto era sorprendentemente nuovo e al tempo stesso normale: la cosa più difficile da fare in un mondo che ha voluto sdoganare tutto, perfino le più plateali assurdità. Davanti ad alcuni modelli come i semplici cappottini cammello, neri o blu, ma anche con precisi grafismi tipo i disegni geometrici degli anni Settanta rilanciati negli anni Novanta proprio da Prada con il cosiddetto «hugly chic», ovvero il brutto elegante, viene spontaneo pensare che nelle catene di moda low cost tipo Zara, Mango oppure H&M faranno festa grande al solo pensiero.
Ma la grande signora del made in Italy nell'infinita varietà del suo pensiero che non è mai debole e tantomeno lontano dalla realtà contemporanea, ha già affrontato il problema risolvendolo con una mossa strategica per il fashion system in generale: la ricerca di nuovi assoluti sul fronte della qualità. Si scopre così che il piccolo cappotto con quel motivo camouflage vagamente geometrico e cromaticamente lontano da qualsiasi mimetismo naturale, è realizzato in un tessuto da alta moda, molto corposo per enfatizzare la linea semplicemente perfetta, ma anche leggero perché oggi, nonostante il freddo pungente di questo gennaio milanese, bisogna vestire light, magari a strati.
Lo pensano anche Tomaso Aquilano e Roberto Rimondi che da tempo disegnano le collezioni di Gianfranco Ferrè. Così sulla stessa passerella che in altri tempi ci ha regalato emozioni indimenticabili, abbiamo visto passare un'improbabile immagine di uomo con gilet di pelo sotto al pastrano, enormi maglioni, la giacca a sei bottoni con abbottonatura alta, vita strizzata dalla cintura e i pantaloni dritti neri sotto alla camicia bianca. Il vero delitto sta nel fatto che i pezzi presi singolarmente sono molto belli a cominciare dal cappotto-caban grigio lungo fino ai piedi. Ma tutto insieme è troppo, non porta niente alla mistica del marchio e soprattutto deraglia dal progetto che i due giovani designer si erano dati: tirare l'uomo fuori dalla gabbia della consuetudine. Ci riesce invece Cavalli con una collezione magnifica piena di modelli che lasciano a bocca aperta per ricchezza di materiali e varietà di lavorazioni. «Preziosità senza leziosità, sensuale sempre, volgare mai, classico a modo mio» sentenzia Cavalli. «La crisi è roba vecchia, ormai appartiene al passato» grida con voce roboante. Poi sorride, tira una boccata alla sigaretta meccanica con cui sta saggiamente uscendo dal vizio del fumo e sussurra: «Speriamo...».
Massimiliano Giornetti, giovane ed educatissimo designer di Ferragamo, sogna gli spazi aperti, le grandi praterie, un'immagine maschile tra gaucho, gipsy e bohémienne.
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