Moffa ruba la scena a Bocchino Si allarga la fronda astensionista

RomaFini sulle montagne russe. La giornata, per il presidente della Camera, si apre all’insegna della massima incertezza. La sua sparata davanti alle telecamere di Lucia Annunziata non è piaciuta affatto all’anima moderata del suo gruppo. I più scettici sono Silvano Moffa e Maria Grazia Siliquini. La quale, papale papale, rende noto il suo mal di pancia: «La penso come Moffa - spiega - e non parteciperò alla riunione di stasera dei parlamentari del Fli». Ma tra i dubbiosi ci sono anche Catia Polidori, Giuseppe Consolo e il senatore Francesco Pontone. Lui, Pontone, è riluttante a votare la sfiducia al governo Berlusconi e lo dice chiaro: «Sono indeciso: il cuore mi dice una cosa, Fini. La ragione un’altra, Berlusconi. Devo parlare solo con la mia coscienza». Anche lui diserta il vertice Fli di ieri sera.
Ma è la posizione dei suoi uomini alla Camera, dove l’esito è sul filo del rasoio, a preoccupare Fini. Alla faccia del «non siamo appassionati di ornitologia» gridato dal palco di Mirabello, il presidente della Camera si ritrova alle prese con una voliera che rischia di far precipitare il suo Fli e spaccarlo in mille pezzi. L’imbarazzo è grave. Lui, Fini, falco tra i falchi, teme di aver portato la sua truppa a un passo dall’ammutinamento. Ma tornare indietro è complicatissimo, se non impossibile. Musi lunghi e tensione alle stelle tra i finiani che mai come in questo frangente temono di perdere altri pezzi di peso. Per tutta la mattina lo studio di Moffa, al quarto piano di Montecitorio, è un via vai di finiani corrucciati. Passano Ronchi, Polidori, Patarino, Menia, Consolo, Siliquini, Urso. All’ora di pranzo Ronchi e Urso portano Moffa da Fini per un faccia a faccia che però non è risolutivo. I trattativisti non si arrendono e vogliono arrivare fino in fondo. Vogliono provarle tutte perché sparare addosso al governo proprio non ce la fanno. «La giornata è lunga e la notte porta consiglio», resta abbottonato Urso uscendo dall’ufficio di Fini. Di fatto, per ritrovare la compatezza tra i suoi, il leader del Fli chiede a Bocchino di defilarsi, di fare un passo indietro. A cercare di convincere Moffa & C. a desistere dallo strappo vengono messi in campo Menia e Ruben. Sono loro i pontieri, i registi del «restiamo uniti per carità».
È solo nel tardo pomeriggio che arriva l’escamotage tutto interno per evitare - o forse rimandare - la spaccatura. Dopo estenuanti trattative si stila un documento: si potrebbe proporre l’astensione dei futuristi al Senato, un nuovo patto di legislatura, e le dimissioni del premier con l’assicurazione di un «sì» al reincarico, evitando così la conta. In realtà credono in pochi che il Cavaliere possa accettare ma tant’è. Moffa, Urso e Letta ne parlano anche con lo stesso Berlusconi che però non cede. È Bossi a sintetizzare: «Ormai è troppo tardi». Il documento in realtà serve ai finiani: è la colla per tenere insieme tutti. Moffa e gli scettici hanno così l’alibi per dire: le abbiamo provate tutte. Basta per mettere il cuore in pace a chi proprio non se la sente di vestire i panni del killer dell’esecutivo Berlusconi? Mica tanto. Uscito dall’Aula dopo il discorso del premier Moffa resta scettico: «No, non ho ancora deciso sul da farsi». C’è chi mormora che agli indecisi il premier abbia offerto di persona ruoli di ministro e sottosegretario. Ma è Moffa l’ago della bilancia di questa estenuante partita a scacchi. In serata i futuristi, tuttavia, tirano un sospiro di sollievo: «Abbiamo rischiato grosso - ammette un fillino - ma adesso ci siamo ricompattati.
Ma i giochi non sono fatti. Moffa non scioglie la riserva fino alla fine: «La notte è lunga per trovare una via di uscita. La strada è stretta ma la capacità dei leader in questi momenti sta proprio nel trovare un accordo». E ancora: «Non si può scherzare col fuoco». Così, a proposito di fuoco, Fini dà il via all’ultima riunione incandescente nella sede di Farefuturo, prima del redde rationem. Tutti compatti? No. Perché fa rumore la doppia assenza alla riunione finiana di Pontone e Siliquini.

Quest’ultima orientata - si mormora - addirittura a votare la fiducia e ad altri quattro più propensi all’astensione. Sebbene Fini faccia trapelare compattezza: «La linea è una sola ed è quella del documento. Più di così non potevamo fare».

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