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La moglie colombiana del leghista: "Fatemi l’esame di lingua veneta"

Ledys Martinez Manzolini. Il marito è assessore all’immigrazione della Provincia di Padova. Vive a Teolo, dove il sindaco sottopone gli stranieri all’interrogazione d’italiano prima di dargli la cittadinanza: "Una tontería"

La moglie colombiana del leghista:
"Fatemi l’esame di lingua veneta"

A dimostrazione che ogni Sud del mondo ha il suo Sud, la signora Ledys Del Carmen Martinez in Manzolini, nata nel 1964 a Montería, in Colombia, riferisce con fatica, e abbassando gli occhi per la vergogna, la frase che suo padre Florentino, energico allevatore di figli e di bestiame ai piedi della cordigliera andina, le ripeteva sempre da ragazza: «Se mi porti in casa un negro, prima lo macino e ne faccio lucido da scarpe, poi ti metto a crescere galline per il resto della vita». L’altra ammonizione, rivolta a lei e alle due sorelle più piccole, «non certo ai nostri cinque fratelli», era questa: «Dovete studiare, studiare, studiare. Altrimenti finirete sotto il dominio di qualche uomo».
Ledys ha imparato la lezione. Diventata un’esperta di marketing, ha lavorato per 15 anni in un’industria farmaceutica del suo Paese. Dopodiché s’è trovata un marito italiano col capello biondo e l’iride azzurra. Un leghista, per andare sul sicuro. Un assessore (alla Provincia di Padova) con più deleghe che mani, occhi e orecchie: industria, artigianato, commercio, distretti industriali, aree termali, rapporti con l’Ente studi universitari, identità veneta, immigrazione e relazioni con gli Stati esteri. «Ma in casa xe ela che me fa rigare drito», si lamenta Flavio Manzolini, 58 anni, nativo di Abano, tallonato anche da un figlio peperino di 6, tutto suo madre, di nome Enrico, «scrivilo bene, con la erre tra la enne e la i», m’ingiunge la peste appena seduto in cucina.
In famiglia alla lingua devono tenerci parecchio se l’assessore Manzolini non ha esitato ad affidare la consorte al sindaco di Teolo, il paese dei Colli Euganei dove vivono, perché la sottoponesse, prima di concederle la cittadinanza, a «un esame di italiano», come hanno titolato i giornali. «Ma quale esame! Una tontería», una sciocchezza, sbotta lei, invano arginata dal marito: «Dai, ’desso no’ dire cussì...». In effetti questo esame d’italiano l’avrebbe passato persino Antonio Di Pietro: «Si trattava di leggere davanti al sindaco il testo del giuramento previsto dall’articolo 10 della legge 91 del 1992: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato”». Tutto qui? «Tutto qui».
Una circolare del ministero dell’Interno, risalente al 1996, prevede un colloquio per accertare «livello di assimilazione della cultura e integrazione nell’ambiente nazionale da parte del soggetto», ma chi l’ha mai applicata? «Non le prefetture, cui per legge spetta l’obbligo prima del rilascio del decreto di conferimento della cittadinanza», chiarisce l’assessore Manzolini, iscrittosi al partito di Bossi nel 1991 dopo aver votato per una vita Pri e fino al 2000 segretario provinciale della Lega. «Così qui a Teolo ha sopperito il nostro sindaco, Lino Ravazzolo, Alleanza nazionale. Prima di convocare mia moglie, è stato molto gentile: mi ha chiesto se non fosse il caso di soprassedere, temeva di violare la nostra privacy. E perché mai?, gli ho risposto. Chiamala e interrogala». Sapeva che avrebbe fatto un figurone.
Guardi che suo marito ora vorrebbe sottoporla anche all’esame di lingua veneta.
«G’ò capìo».
Come si dice forchetta?
«Pirón».
Spagnolo e veneto s’assomigliano.
«Ah sì, davvero? Il giorno dopo il mio arrivo dalla Colombia, Flavio partì per una missione ufficiale in Palestina. Mi lasciò sola in casa con mia suocera Leda che parla solo il dialetto. Non capivo nulla, non mangiavo. Credevo di morire. Oggi parlo il veneto anch’io».
Come ha conosciuto suo marito?
«Nel 1999 ero a un congresso scientifico all’hotel Plaza di Barrenquilla, sulla costa atlantica della Colombia. Vedo quest’uomo, allora era magro, 15 chili in meno, che mi guarda con insistenza. La sera Delia, un’amica di Barcellona, mi dice: “Voglio presentarti un italiano”. Era lo stesso che al mattino mi osservava nella hall dell’albergo».
In che modo l’ha conquistata?
«Con la serietà. Gli europei in vacanza li riconosci subito: bermuda e ciabatte. Lui no, era vestito bene, scarpe pulitissime, niente anelli o ciondoli. Gli uomini devono essere riconoscibili».
E le nozze?
«Era la prima volta che m’innamoravo di uno straniero. Quando capii che mi sarei dovuta trasferire in Italia, mi presentai dal giudice che celebra i matrimoni. Fu inflessibile: “Le consiglio di recarsi a Roma, fare un’investigazione di almeno sei mesi, avvertire l’Interpol. Questa è gente che spesso ha già una moglie al suo Paese”. Sa, erano i tempi in cui i siciliani di Cosa nostra venivano a sposare le colombiane per imparentarsi con le famiglie dei cartelli di Medellin e di Cali». (Interviene il marito: «’Desso no’ dire cussì... Quei ne spara»).
Alla fine che fece?
«“Vieni qui che ti sposo”, telefonò Flavio. Bravo! Vaca ponte y el ternero en el monte».
Che significa?
«La mucca è pronta per allattare ma il vitello è sul monte. Significa che le cose non sono mai come appaiono: ti fidi di una promessa, poi scopri che non era vero niente. Se ci teneva tanto, che venisse a prendermi. “Ma guarda che anche i bambini prendono l’aereo da soli”, replicò lui. Be’, io no. E nell’agosto del 2000 venne a prendermi».
Papà Florentino era d’accordo?
«Mio padre è sempre stato perseguitato dalle donne e non è capace di dire di no. È un domatore di cavalli, mi ha insegnato prima a cavalcare che a parlare. Sostiene che avrei dovuto, perfezionista come sono, fare l’avvocata. Mise subito in guardia Flavio: “Povero l’uomo che si prende questa donna”». (Interviene il marito: «G’à capìo che disgrassia me xe capitada a mi?»).
Come ha imparato l’italiano?
«Ascoltando Giovanna Botteri al Tg3 e Lilli Gruber al Tg1. Vocalizzavano bene, era facile comprendere quello che dicevano. E poi ogni sera mi mettevo a tradurre gli articoli dal Gazzettino con questo». (Mostra un dizionario tascabile italiano-spagnolo). «Me lo portò Flavio quando stavo in Colombia».
Mi racconti dell’esame.
«Niente d’insuperabile. Qualche giorno prima sono andata in municipio e un’impiegata mi ha fatto leggere per prova la formula del giuramento, che il 28 dicembre, alle 11, accompagnata da mio marito, ho ripetuto nell’ufficio del sindaco. Alla fine mi sono state consegnate una copia della Costituzione e la bandiera italiana. Questo mi è molto piaciuto».
Perché?
«Perché l’Italia è la casa dove vivo oggi, conoscerne la lingua e le leggi mi pare il minimo. Prima di me era stata sottoposta alla prova solo una cubana. Qui a Teolo, un paese di 8.500 anime, nel 2007 hanno ottenuto la cittadinanza italiana stranieri provenienti da Brasile, Tunisia, Ruanda, Egitto». (Interviene il marito: «Solo che qualcuno di lingua araba al termine della cerimonia ha avvoltolato bandiera, diploma di cittadinanza e Costituzione come se fossero spazzatura. Da allora il sindaco ha deciso di non prestarsi più al ruolo di cerimoniere passivo e li interroga»).
Ma lei non è stata interrogata.
«No».
Provvedo io. Chi era Giuseppe Garibaldi?
«Perché vuol farmi tante domande?».
La fama di Garibaldi dovrebbe essere ancora viva in Sudamerica.
«Lei conosce quella pianta nell’angolo?».
È tropicale. Una dama de noche?
(Interviene il marito: «Sta’ atenta che questo sa tuto»). «No, señor, mango. Anch’io l’ho bocciata».
Chi è il capo dello Stato?
«Napolitano. Anteriormente el señor Berlusconi». (Interviene il marito: «Eh no! Cossa disito?»). «Excusa me tanto: el señor Ciampi. Adesso le faccio io una domanda a bruciapelo: chi era il presidente del Consiglio nel novembre 2000, quando mi sposai in Italia?».
Berlusconi?
(Interviene il marito: «Eh sì, Berlusconi»). «No, señor: Amato. Ricordi la data del nostro matrimonio, Flavio?». («Sì, ostrega, il 22»). «No, il 25». («La ne g’à bocià tuti do!»).
Chi è il governatore del Veneto?
«El señor Galan. Facilissimo».
Di che partito?
«Ah, no! Questo non lo so. Sono sincera come l’acqua. No sto secura nemmeno se quel señor comunista, Bertinotti mi pare che si chiami, è presidente del Senato o della Camera».
Le regioni d’Italia quante sono?
«Wow! Tante. Ma non le ricordo tutte. Sai, Flavio, questo è vergognoso! Mi nascondo sotto la tavola. Umbria, Calabria, Sicilia, Toscana, Veneto, Reggio Emilia...».
Sconta pregiudizi qui in Italia?
«Solo una volta. Avevo rovinato la cravatta preferita di mio marito. La portai in tintoria. La titolare mi cacciò in malo modo: “Non ho niente da regalare”. Obiettai che volevo solo far smacchiare una cravatta. Mi mise alla porta: “Non m’interessa, va’ fuori!”». (Interviene il marito: «Non me l’avevi mai detto, cara. Mi piacerebbe scambiare due chiacchiere con quella signora...»). «Lascia stare, niente nomi. Se una persona è incapace persino di ascoltare, che cosa vuoi farci?».
In paese non la guardano storto? La Colombia è la terra dei narcotrafficanti.
«No. La Colombia ha così tante cose da offrire... Vuoi una spiaia con la sabbia fina? C’è. Vuoi una spiaia con la sabbia grossa? C’è. Vuoi una spiaia solo per te? C’è. Vuoi l’agua più trasparente? C’è. Me diga lei qualcosa che non c’è. Abbiamo talmente tante cose che persino la cocaina è la migliore del mondo».
Il fatto d’essere moglie d’un leghista ha comportato qualche fastidio?
«No. Non sapevo che Flavio facesse politica. Io ho conosciuto l’uomo, e basta».
Le ha nascosto un dettaglio importante.
«Eh, lo so, a volte lui sta in Provincia fino alle 10 di sera o a mezzanotte. Ma per averlo a tavola alle 8 basta che gli telefoni e gli dica: amore, ho preparato i tortellini in brodo».
Il Corriere della Sera, a proposito del suo esame d’italiano, ha scritto che «cavalcare la propaganda danneggia il buonsenso».
«È stato Flavio a dirle di venire qui a casa nostra per intervistarmi?».
No di certo.
«Vede?».
Conosce Umberto Bossi?
«L’ho incontrato a cena a Venezia. M’è sembrato un uomo gentile. Sencillo. Semplice».
Lei per chi vota?
«Fino a due settimane fa non potevo votare. Adesso che posso, non glielo dico».
Ne arguisco che non voterà per la Lega, altrimenti me lo direbbe.
«No, infatti». (Interviene il marito: «Come no’ te voti leghista?»). «Vedremo alle prossime elezioni con quali argomenti verranno a convincermi. Io voto la persona».
Come vede la situazione degli stranieri in Italia?
«Mi spiace per quelli onesti che entrano illegalmente e sono trattati da criminali, mentre potrebbero mettere a disposizione dell’Italia le loro capacità».
Lei in che modo rimedierebbe?
«Rimettendo le frontiere».
A Verona e a Cittadella i sindaci leghisti hanno fissato un reddito minimo di 5.061 euro per gli stranieri che chiedono la residenza. È giusto, secondo lei?
(Riflette a lungo). «Senza un reddito, o chiedi la carità o rubi. Se non hai un reddito, significa che non lavori. Lavorare mi pare il requisito minimo per rimanere nella nazione che ti ospita».
Se non fosse sposata con suo marito, lei disporrebbe di 422 euro al mese?
«Sì. Farei l’informatrice scientifica. O realizzerei i miei hobby».
Gli hobby non danno soldi.
«Piano, señor giornalista. Ho cominciato un corso di taglio e cucito. Le posso mostrare alcuni degli assessori che ho creato». (Interviene il marito: «Accessori, accessori...»).
A Caravaggio, nel Bergamasco, lo straniero che vuol sposarsi con un’italiana deve avere il permesso di soggiorno.
«Giusto. Il giorno che ho messo piede in Italia, mio marito mi ha portato in questura per il permesso».
A Milano i figli degli stranieri irregolari verranno accolti nelle scuole materne solo se i genitori otterranno il permesso di soggiorno. È d’accordo?
(Appoggia la fronte al tavolo e pensa). «No estoy de acuerdo. Che colpa ne ha un bambino se i genitori sono clandestini?».
C’è differenza fra italiani e colombiani?
«Vuol sapere una cosa? Gli italiani sono molto più maschilisti dei colombiani. Tranne mio marito. Lui lo sistemo io... Sempre con dolcezza».
E fra italiani e veneti?
«I veneti sono più affabili, più dolci, più sorridenti. Giro per Teolo e vedo i vecchietti in gruppo che giocano a carte, le signore in gruppo che ciacolano, e mi sembrano persone che ancora riescono a comunicare fra loro».
Se da grande suo figlio decidesse di sposare una donna di colore, sarebbe contenta?
«Decisione sua. L’importante è che la moglie abbia un codice morale».
Sia sincera come l’acqua.
«Se è innamorato, benvenuta». (Interviene il marito: «Di’ pure quello che devi dire»). «Che sia gialla, nera, rossa, verde non importa. Purché sia una brava ragazza. Se è bionda e con gli occhi azzurri, ma priva di codice morale, non sono contenta». (Interviene il marito: «Facciamo la domanda all’incontrario, forse è quello che il giornalista vuol sapere: a parità di codice morale, preferiresti che fosse bianca o nera?»). «È uguale». («Sei sicura?»). «Sì». («Va ben...»). «Guarda che io non sono come mio padre!». («Allora digli come mi prendi in giro quando torno a casa in ritardo»). «Io? Io?». («Mi dice: dove sei stato? Sito andà co’ ’na negra?»). «Io? Nooo!».
E se sposasse una donna di religione islamica?
«Non posso rispondere. Cancelli la domanda».
Se lei fosse assessore, concederebbe la licenza per la costruzione di una moschea?
«Per amare il nostro Creatore non c’è bisogno né di una moschea né di una chiesa».
E il permesso ai musulmani per lo sgozzamento rituale dei montoni nella festa di Eid Al Adha lo darebbe?
«Sincera come l’acqua?».
Sempre.
«La legge mosaica non è vigente in questo tempo».
(402. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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