nostro inviato a Novi Ligure (Alessandria)
Nei film americani funziona allo stesso modo. C’è un’auto dello Stato Maggiore, nera, lustra, che si ferma davanti alla villetta; e una donna che scosta le tendine e vede l’ufficiale che attraversa impettito il vialetto con una busta in mano. E già capisce. Si appoggia di spalle allo stipite, le mani incrociate sul petto, e aspetta con i pensieri già allagati dal dolore il suono del campanello.
Il resto son frasi di circostanza. Sentite, magari; pronunciate col cuore, ma di circostanza. L'alto senso del dovere... Il comportamento eroico... Caduto in servizio onorando la Patria (con la maiuscola) lontana... Un soldato fiero e orgoglioso della divisa che indossava...
Ad Alessandra Rizzo, 39 anni, moglie del maresciallo Paladini, è sembrato per un momento di rivedere la scena di quel film. Una fiction, mica una cosa vera. E però quel generale di brigata fermo davanti a lei, che si toglie il cappello e se lo rigira tra le mani, imbarazzato, addolorato, e dice proprio quelle frasi lì, come al cinema, è maledettamente vero, stamani. Si chiama Piercorrado Meano, comanda le Forze di complemento regionali. È toccato a lui venire fin qui, ai margini di Novi, in questa via Contardini, davanti a questa casetta pulita e ordinata, a portare la notizia che nessun generale vorrebbe mai portare.
Fine dei sogni, fine della speranza, fine di tutto, per Alessandra. Possibile? Lui, Daniele, ce l'aveva ancora davanti agli occhi. Si erano visti l’altra sera in collegamento internet da Kabul. Daniele che non vedeva l’ora di tornare a casa e già contava i giorni. «Dai che gennaio è qui che viene, neanche due mesi interi», diceva lui, e rideva con i suoi occhi azzurri e la faccia da maschio forte e gentile che tutte le amiche di Alessandra le avevano sempre invidiato. Anche l’altra sera, per tenere tranquilla la moglie e la piccola Ilaria Daniele aveva fatto il suo solito show, raccontando alla moglie e al cognato, Antonio Greco, che in Afghanistan andava tutto benone, «e insomma io dico - sosteneva ridendo, divertito dal paradosso - che si corrono più rischi in Italia che a Kabul. Di me non preoccupatevi. Va tutto per il meglio. Tranquilli, vi dico. Ancora un paio di mesi e poi non vado più via».
Poi, dopo il generale, è stato tutto un andare e venire di divise; di ufficiali superiori, come il generale Franco Cravarezza, comandante della Regione Nord, e di colleghi e amici di Daniele che varcavano il cancelletto della casa sotto la pioggia che non ha mai smesso di cadere, giusto per enfatizzare il grigio del lutto che già serrava i cuori di tutti. E con i militari è venuto anche il sindaco, Lorenzo Robbiano, a portare le condoglianze sue e di tutta la cittadinanza. «Che altro dire in questo momento?» mormora il sindaco ai cronisti fermi davanti alla casetta. «L'unica cosa che conta in questo momento è stare vicini alla famiglia».
A Novi, che festeggia i 400 anni della Fiera di Santa Caterina, la notizia si sparge in un baleno. La fanfara dei carabinieri a cavallo, venuta da Roma, ripiega bandiere e stendardi; chiude il luna park, si fermano le manifestazioni in programma al palatenda Excelsior. È già lutto cittadino, prima che il sindaco lo proclami ufficialmente.
Daniele Paladini, il maresciallo capo dell'Esercito morto un mattino d'autunno, a 35 anni, tra la polvere e il cielo color cobalto d'Afghanistan per colpa di un grandissimo disgraziato imbottito di tritolo era di Lecce, ma si era trasferito fin da ragazzino in Piemonte. Colonna del reggimento Pontieri di Piacenza, Paladini aveva già partecipato a due missioni all’estero: una nel maggio del 2005 e la seconda nel novembre di quello stesso anno, sempre in Kosovo. Poi, nel luglio scorso, si era presentata l'occasione dell'Afghanistan. E un po’ il dovere, un po’ lo spirito d'avventura, un po’ il soprassoldo: si dice di sì, in questi casi. E se a qualcosa uno pensa, baciando la moglie e la bambina che lo salutano con le lacrime agli occhi, è al momento in cui tornerà, magari con un burqa per la moglie, acquistato per scherzo, e un bell’aquilone, di quelli che a Kabul fanno a mano i ragazzini, per la piccola Ilaria.
Di lei, della bambina, si occupa ora uno psicologo spedito a Novi dall’esercito. Le hanno spiegato che non vedrà più il suo papà, la tengono lontana dalla televisione, le fanno un sacco di carezze. La mamma, la nonna e lo zio se la tengono stretta, lontana dalle telecamere e dalle macchine fotografiche.
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