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La moglie di Vespa punge De Benedetti "Lui pagò tangenti"

Il magistrato smonta le tesi dell’Ingegnere che insinuò un trattamento di favore nel 1993 per Letta e Galliani

La moglie di Vespa  punge De Benedetti "Lui pagò tangenti"

Roma - Si è fatta sbollire la rabbia per dieci giorni e più, Augusta Iannini. Poi, ha preso carta e penna per scrivere a Il Fatto Quotidiano e ristabilire la verità su una delicata vicenda che risale al 1993 e riguarda Carlo De Benedetti.
Siamo in pieno clima Tangentopoli e l’attuale capo dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia, che non ama sentirsi chiamare «signora Vespa», è giudice per le indagini preliminari a Roma. Proprio lei ordina l’arresto del presidente dell’Olivetti, richiesto dalla pm Maria Cordova per pesanti tangenti pagate alle Poste.

E, visto che il pool milanese di Mani Pulite con Antonio Di Pietro in testa, sulla stessa vicenda si è regolato diversamente, viene accusata da più parti di non essere stata imparziale. La Iannini deve spiegare che la Procura ha indagato su fatti nuovi emersi sull’episodio di corruzione che ha coinvolto il patron dell’Olivetti.
Il 20 gennaio scorso il quotidiano diretto da Antonio Padellaro torna sulla questione, con un’anticipazione del libro Eutanasia di un potere di Marco Damilano. A De Benedetti si attribuisce la frase: «C’erano tre mandati di cattura, per me, per Gianni Letta e per Adriano Galliani. Il gip Augusta Iannini disse di avere ottimi rapporti di famiglia con Letta e con Galliani, per via del marito Bruno Vespa, e che non poteva essere obiettiva. Io obiettai che questo valeva anche per me, al contrario, per i miei pessimi rapporti con Berlusconi. Comunque ci fu un interrogatorio, chiarii la mia posizione, uscii di prigione e nel processo venni assolto (in parte per prescrizione, ndr)».

La Iannini, che Dagospia ha ribattezzato «la Vespa regina» con un’allusione a Sabina Began-Ape regina, si ribella all’insinuazione di non essere stata obiettiva quando ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per l’Ingegnere. La Iannini punge e al direttore de Il Fatto ricorda che l’aver sostenuto questa tesi nel 1997 su La Repubblica «con accenti più temerari, costò alla società editrice controllata da De Benedetti una condanna di risarcimento in mio favore di 80 milioni di lire». Una minaccia di querela neppure tanto velata.

Il magistrato, soprattutto, ci tiene a sottolineare che vengono accostati «due procedimenti nettamente distinti, nel numero e nell’oggetto: Letta e Galliani erano imputati per presunti illeciti nell’assegnazione delle frequenze; De Benedetti, come ammise lui stesso nell’interrogatorio di garanzia, aveva pagato alcuni miliardi per corrompere al ministero delle Poste chi aveva garantito alla Olivetti l’acquisto di telescriventi obsolete. Dall’astensione per l’uno, dunque, non conseguiva alcun dovere - neppure sotto il profilo dell’opportunità - di astensione per l’altro».
La Iannini, cita la sentenza del tribunale di Roma che condanna La Repubblica per aver sostenuto la stessa tesi che ora Damilano rilancia per bocca di De Benedetti e Il Fatto amplifica. Sentenza nella quale i giudici condividevano la decisione del gip di astenersi nei confronti di Letta e Galliani.

«Il pezzo giornalistico - dice il documento- accosta in modo suggestionante fatti reali per ingenerare nel lettore la convinzione che l’attrice sia un giudice non imparziale».

Invece, per il tribunale, «l’ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta della Procura nei confronti dell’Ingegner De Benedetti è abbondantemente motivata, mettendo in luce una serie di elementi esistenti a carico dell’indagato».

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