Molestie alla figlia, romeno in manette

A 36 anni è ingegnere ma disoccupato. Fino a poco tempo fa viveva con la madre separata e aveva chiesto al padre un mensile di 2mila euro fino a quando non avrebbe trovato un posto di lavoro confacente al suo titolo di studio. Il padre però gli ha rifiutato «la paghetta» e la questione è finita in tribunale, che ha dato ragione al padre, argomentando che l’ingegnere avrebbe potuto cercare lavoro anche all’estero. Non solo. Il tribunale ha rigettato anche la seconda richiesta del figlio: 57mila euro di arretrati e un risarcimento di un milione per il «disinteresse morale e materiale del padre» nei suoi confronti. Il giudice ha, invece, ritenuto congruo l’assegno di mantenimento di 650mila lire, corrisposto dal padre a partire dal 1986, anno della separazione, fino a qualche anno fa. Ma il figlio non si è arreso e fra l’invio di un curriculum e l’altro, ha deciso di fare ricorso in appello sulla scorta di una sentenza della Cassazione che recita che «il titolo di studio deve essere spendibile nel proprio Paese».


Non solo: sul mantenimento di un figlio oltre la maggiore età c’è poi un precedente «illustre» con cui l’ingegnere intende basare l’appello contro il padre: si tratta della causa che, con sentenza della Cassazione nel 2006, vide opposti Albano e Romina Power: «Perdura l’obbligo del mantenimento, indipendentemente dal raggiungimento della maggior età, finché i figli non diventino autosufficienti». Così recitava la sentenza. Intanto oggi l’ingegnere per mantenersi è costretto a lavorare in Irlanda, ma non demorde ed intende proseguire la sua guerra contro il padre per vincere la causa.

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