Molfetta, morto anche il quinto operaio Ma non è stato lo zolfo a uccidere

da Bari



Non ce l’ha fatta, le sue condizioni si erano aggravate già durante la notte e all’alba è stato stroncato da un arresto cardiocircolatorio. Michele Tasca domenica avrebbe compiuto vent’anni: è la quinta vittima della strage del lavoro che si è consumata due giorni fa a Molfetta, centro costiero della provincia di Bari, dove adesso si rincorrono i dubbi e le ipotesi sulla tragedia avvenuta alla Truck center, azienda specializzata nel lavaggio di cisterne. La procura di Trani ha aperto un’inchiesta ipotizzando a carico di ignoti il reato di omicidio colposo plurimo. Nelle ultime ore prende consistenza il sospetto che la strage sia stata innescata non solo dalle esalazioni di zolfo, ma anche da un’altra sostanza, forse idrogeno solforato: insomma, da quella cisterna profonda quattro metri sarebbe fuoriuscito un cocktail micidiale che non ha dato scampo ai cinque operai. «Lo zolfo non è letale», precisa l’avvocato Bepi Maralfa, il difensore nominato dall’azienda. «Quando è stato aperto lo sportello e sono cominciate le operazioni – prosegue – gli effetti delle esalazioni erano quadruplicati, la presenza della polvere è stata avvertita in tutta la zona». Ieri, su disposizione del sostituto procuratore Giuseppe Maralfa (cugino dell’avvocato), i carabinieri del nucleo per la tutela dell’ambiente si sono calati nella cisterna con speciali apparecchiature per verificare che tipo di sostanze tossiche fossero presenti.
Gli operai sono morti uno dopo l’altro nel tentativo di aiutare i colleghi svenuti nella cisterna. Tra loro c’era anche il titolare dell’azienda, Vincenzo Altomare, 64 anni; le altre vittime sono Guglielmo Mangano, 44 anni, Luigi Farinola, 37 anni, Biagio Sciancalepore, 22 anni. Poi, all’alba di ieri, è deceduto Michele Tasca: lo hanno trasportato prima all’ospedale di Terlizzi perché a Molfetta non funzionava la Tac, poi è stato condotto in quello di Monopoli perché nel reparto rianimazione del Policlinico di Bari non c’era posto. «Se fosse stato ricoverato subito invece di portarlo in tre ospedali, forse si sarebbe potuto salvare», dice lo zio, Rino Tasca.

La zia del ragazzo, Anna Cicolella, punta invece il dito contro la sicurezza nella ditta: «Perché gli operai non avevano le mascherine?». Il nipote era un cuoco diplomato all’alberghiero, aveva accettato quel lavoro alla Truck center solo provvisoriamente e tra dieci giorni avrebbe preso servizio in un ristorante di Riccione.

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