nostro inviato a Venezia
«Perché avete ucciso il cavalier Giovanni Stucky?» chiese il procuratore del re allassassino. «È stato il presidente della Repubblica argentina a ordinarmelo» fu la risposta. «Non fingetevi pazzo, ditemi la verità» insisté il magistrato. Biondino, basso di statura, tarchiato, i baffi a manubrio, Giovanni Bruniera, detto Fatutto, ex operaio del Molino Stucky e ora fresco uccisore del suo principale, rimase per un attimo pensieroso. «Va bene, vi dirò la verità. Quando ero ancora soldato, il defunto re Umberto mi disse che avrei dovuto, in modo assoluto, ammazzare il cavalier Giovanni. Bisogna obbedire al proprio re». Il procuratore, il giudice istruttore e i funzionari di polizia che assistevano allinterrogatorio alzarono gli occhi al cielo. «Adesso ho sete» disse Fatutto. E non aprì più bocca.
Il delitto era avvenuto poche ore prima sullo scalone dingresso della stazione ferroviaria di Venezia-Santa Lucia. Secondo la deposizione dellunico testimone oculare, Luigi Bisigato, mentre la vittima saliva i gradini, lomicida gli andò incontro scendendoli, si aggrappò alla sua spalla con una mano, poi con la stessa gli abbassò il colletto e intanto con laltra gli tirò un colpo di rasoio. Giovanni Stucky era un omone di oltre un metro e novanta, e fu partendo dallalto che il più piccolo Fatutto poté arrivargli al collo senza dover saltare. La rasoiata in compenso fu tremenda: recise la carotide, la jugulare, la laringe e in pratica decapitò il sessantasettenne «principe dei Mugnai»... Appena un anno prima Giovanni Stucky aveva festeggiato il quarto di secolo dellazienda alimentare che portava il suo nome e inaugurato la dimora di famiglia. Visto che il luogo di lavoro era una sorta di gigantesco castello in cotto e in stile neogotico anseatico eretto per lui dallarchitettto tedesco Ernst Wullekopf, come nuovo nido domestico era andato a scegliersi Palazzo Grassi, sul Canal Grande... Qui venne allestita la camera ardente, nella vicina chiesa di Santo Stefano furono celebrati i funerali e nella cappella di famiglia del cimitero di San Michele, anchessa nello stile fintomedievale del Molino, ci fu infine la sepoltura. Poiché i veneziani resistono a tutto, tranne che al pettegolezzo e alla maldicenza, ci fu chi cominciò a mormorare sulluccisore che non di un discepolo-operaio-traditore si trattava, ma di un figlio illeggittimo-licenziato-vendicatore...
Due anni dopo la morte, un gigantesco busto dellimprenditore venne inaugurato nei giardini dello stabilimento. È lo stesso monumento che oggi gli ospiti del Molino Stucky Hilton si ritrovano di fronte o di spalle a seconda se siano lì per un convegno di lavoro o per una cura di benessere. Lì dove cera la mensa-refettorio è stato infatti ricavato il più grande Centro Congressi cittadino, 2600 metri quadri di superficie. E lì dove invece cerano gli uffici relativi allo stoccaggio fa bella mostra di sé unArea Bellezza e Salute di 600 metri quadri con palestra, sauna bagno turco, sale massaggi...
Linaugurazione del nuovo gigantesco complesso è avvenuta un mesetto fa, presente il ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli, ma la vera prova del fuoco cè stata in occasione della Festa del Redentore, con il tutto esaurito dellalbergo e lo Skyline Bar dellottavo piano trasformato nella terrazza più panoramica di Venezia da dove ammirare i fuochi dartificio proiettati nel bacino di San Marco.
Il ritorno sulla scena dellantico Molino è il più grande recupero di archeologia industriale a livello europeo, riguarda unarea di circa 30mila metri quadrati, comprende un albergo da 380 camere e un centro residenziale di 138 appartamenti ricavato dagli edifici di stoccaggio e dai silos. Opera della società Aqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone, ha significato un investimento di oltre 200 milioni di euro. Ci sono voluti dodici anni perché lo Stucky sorgesse a nuova vita, ma nel suo secolo e passa di storia cè stato spazio per grandezza e decadenza, nobiltà e miseria, prestigio e oblio. Se cè unarchitettura che ha accompagnato Venezia nel suo difficile passaggio fra un Ottocento romantico e un Novecento industriale, questa è stata la sua, se cè un nome intorno al quale conservatori e modernisti si sono accapigliati, questo è il suo.
In quel 1910 in cui Giovanni Stucky viene così barbaramente assassinato, il Molino è la più importante struttura industriale della Laguna e, nel suo campo, la più moderna. Produce 3mila quintali di grani teneri al giorno, ne può stoccare fino ad 80mila, dà lavoro a cinquecento dipendenti, è stato il primo edificio di Venezia dotato di luce elettrica. Per costruirlo in quella forma avveniristica eppure antica, il suo proprietario ha dovuto battagliare con la Commisione dornato del Comune e minacciare di chiudere baracca e burattini, ma alla fine, con qualche piccolo ritocco, il progetto è passato: Stucky, svizzero di origine, è uno che guarda al mondo anglosassone e allEuropa del Nord, orgoglioso del Paese che lo ha adottato. Mecenate, è tra i fondatori della Biennale dArte, riempie Palazzo Grassi di capolavori: Guardi, Carriera, Longhi...
Negli anni Venti e Trenta la dinastia Stucky tiene ancora banco, ma a fatica. Sotto la spinta di Vittorio Cini il fascismo sogna il polo industriale di Marghera, il ponte Littorio affianca alla rete ferroviaria quella stradale, la terraferma garantisce una maggior celerità dei trasporti e delle consegne e condanna il molino ubicato alla Giudecca allagonia. Il secondo conflitto mondiale fa precipitare la situazione, il Molino viene militarizzato, il 18 ottobre del 1941 Giancarlo Stucky si uccide e come in un forzoso passaggio di consegne gli eredi vendono Palazzo Grassi a quel Cini che è stato linvolontario artefice della loro caduta. Una volta sposato, sarebbe dovuto diventare la casa del figlio Giorgio, ma anche lastro dei Cini è sfortunato: Giorgio morirà nel 1949 in un incidente aereo a Cannes.
Nel dopoguerra la nuova società Volpi-Cini-Gaggia che ha assunto il controllo aziendale cerca una nuova modernizzazione, ma la concorrenza si è fatta ancora più agguerrita, lautomazione premia gli impianti più piccoli, il mercato libero dei cereali e della farina penalizza una struttura troppo grande e infelicemente ubicata. Nel 1955 il Molino Stucky chiude e ai duecento dipendenti rimasti il conte Cini, azionista di maggioranza dà, oltre la liquidazione, un incentivo di mezzo milione, in pratica un anno di salario... Chiuso e abbandonato, lantico edificio va in rovina, i giardini e gli orti interni diventano una foresta... Tutto diviene ruggine, incuria, spettrale solitudine, un gigantesco scatolone vuoto su cui si moltiplicano, a parole, i progetti, seri e stravaganti, e insieme con essi il leit motiv della sua demolizione: è un relitto da affondare, un mostro architettonico da abbattere. Nel prezioso libro di Francesco Basaldella Stucky. La memoria di un mito (Quaderni di Cultura Giudecchina) i versi di un cantautore veneziano degli anni Settanta, Gualtiero Bertelli, raccontano così il degrado: «Con i muri che cadono e che sembra non resistano/ vederlo così fa meraviglia/ che possa esser stato il pane di una famiglia/ Fu il simbolo di un sogno, duna speranza/ i barconi trasportavano il grano dellabbondanza»...
Lo stallo dura fino agli anni 80, quando lAcqua Marcia presenta un progetto in cui tredici edifici dellantico Molino diventano albergo, con un lavoro di restauro conservativo che salva la facciata e le strutture portanti verticali, colonne di ghisa e scale esterne e interne comprese, trasformazione dei canali e delle condutture «a diamante rovesciato», dove venivano miscelati i vari tipi di granaglie, in soffitti dei corridoi e delle camere delledificio. Collegato a esso, un Centro Congressi, un Centro residenziale e un parco pubblico, una gigantesca struttura transitabile lungo le sue arterie principlai e aperta verso lesterno.
Post fata resurgo.
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