«Molotov contro i nomadi» Ma è tutta un’invenzione

Roma, un volontario Arci chiama la polizia e lancia l’allarme. Gli agenti lo smascherano

da Roma

«Non riprendere, non fotografare». Un ragazzo rom sui vent’anni guarda il telefonino, si avvicina e fa cenno di smettere. Il costone sotto il campo della Magliana è abbrustolito. Il fuoco ha mangiato le canne tra il guardrail e i cumuli d’immondizia. Le fiamme sono risalite fino a una piccola altura sopra i container. Ancora fuma la terra sotto i piedi sporchi dei bambini.
Ma nessuno ha gettato molotov, bottiglie incendiarie. Non ci sono italiani razzisti che hanno appiccato il fuoco. Così ha stabilito la polizia, che ha anzi denunciato un dipendente dell’Arci, associazione che lavora nel campo a contatto con i rom, per procurato allarme e false dichiarazioni. E la falsa pista della rappresaglia razzista è diventato un caso politico. «Nessun tipo di traccia dolosa», è stata la conclusione resa nota dalla questura dopo le indagini partite dalla telefonata del volontario.
Nella notte di martedì al campo di via Candoni era arrivato il sindaco Gianni Alemanno. Prudente sulle indagini, prometteva però «punizioni» per gli eventuali attentatori. Alcuni giornali ieri mattina titolavano: «Molotov contro il campo rom». Invece non era vero niente. La notizia al momento non ha alcun fondamento. «Il nostro volontario non ha parlato di molotov, ma di fiamme», chiariva ieri l’Arci, che dimostrava poi fiducia nel «lavoro delle forze dell’ordine». Eppure la registrazione della telefonata fatta al 113 è nelle mani della questura, e per questo è partita la denuncia della polizia: l’uomo avrebbe parlato di alcuni ragazzi che a bordo di un auto avrebbero volontariamente appiccato le fiamme.
Ieri anche i rom lo hanno smentito. «Eravamo qua fuori - racconta un giovane in jeans e camicia, in buon italiano - e abbiamo visto le fiamme. Non abbiamo notato nessuno gettare oggetti». I rom non accusano gli italiani. Hanno visto il fuoco e hanno chiamato i pompieri. Lo spiegano gli adulti mentre i bambini con i visi neri si avvicinano curiosi. Nel vialetto di uscita, accanto alla terra bruciata, c’è un elefantino con le rotelle abbandonato tra i rifiuti.
Il campo ospita circa seicento persone di etnia romena e slava e si trova lungo uno stradone che conduce a un deposito di autobus dell’Atac, una zona di erbacce e asfalto di fronte al quartiere del Torrino. Da lì, dalla zona di un insediamento abusivo, raccontano al campo, nei giorni scorsi era partito un altro rogo. Ma di fuochi così ne capitano tanti: alla Magliana c’è stata «una strumentalizzazione dell’incendio», critica il Movimento dei volontari di don Orione. «Non bisogna dare credito alla pista del razzismo, avvalorata da chi non conosce a fondo la comunità rom», ha scritto l’Opera nomadi in un comunicato.
Anche al deposito degli autobus non hanno visto ragazzi che lanciavano oggetti contro il terrapieno. C’è un presidio fisso dell’Italpol la sera. Il vigilante di turno martedì notte ha appena ripreso il lavoro e spiega: «Ho visto fiamme altissime, erano le 22.20. Ho chiamato la polizia. Neanche i mezzi potevano passare». Raramente arriva qualcuno in quella strada dimenticata della Magliana.

Solo i dipendenti dell’Atac, e piccoli rom che provano il colpo cercando autoradio nelle macchine parcheggiate dei conducenti pubblici. «Proprio ieri sera - dice l’agente - ho inseguito un paio di questi ragazzini. Avevano sfondato un vetro. Non avranno avuto più di dodici anni».

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