Molotov e barricate, esplode la guerriglia di Chiaiano contro la discarica

Parte il piano di Bertolaso e si scatenano i soliti tafferugli. Migliaia di persone all’assalto della polizia. La minaccia: "Siamo pronti anche a farci anche cinque anni di carcere". Mantovano: "Tolleranza zero, così salveremo Napoli dai signori dei rifiuti".

Molotov e barricate, esplode la guerriglia 
di Chiaiano contro la discarica

nostro inviato a Napoli

Due ragazze fanno la spola tra il piccolo market sul viale che porta alle cave e la barricata di cassonetti e filo spinato che blocca l’accesso alla strada. Portano l’acqua ai manifestanti che ultimano le «difese» per impedire il passaggio a quello che da ieri, anche secondo la Gazzetta ufficiale, è uno dei dieci siti che ospiteranno le discariche in Campania: Chiaiano. Qui fino a ieri mattina c’era un autobus messo di traverso, ma dopo gli scontri con la polizia (tre arresti e un paio di feriti) è stato portato via. Così ora c’è un tipo armato di fiamma ossidrica che pazientemente salda tra loro una ventina di cassonetti, mentre qualcuno aggiunge al «muro» una vecchia Volkswagen. È questa la frontiera più calda del no popolare alle discariche. Ed è qui che stamattina, salvo cambi di programmi, dovrebbe arrivare in visita il sottosegretario per l’emergenza rifiuti Guido Bertolaso.
Non sarà il benvenuto. A due passi dal polo ospedaliero di Napoli, la gente di Chiaiano, Mugnano e Marano si prepara a resistere a oltranza. Spazio per le trattative: zero. «Non è un problema di concertazione - spiega Giovanni - semplicemente noi qui la discarica non la vogliamo. Ci faremo pure cinque anni di carcere, ma il presidio che impedisce l’accesso alla cava non lo toglieremo». Accanto a lui Antonio allarga le braccia e sospira: «Non si tratta di difendere il proprio giardino, e nemmeno di prendersela con una scelta caduta dall’alto. Quelle cave sono l’unica area verde in una zona densamente abitata, qui vivono 250mila persone, e c’è una falda acquifera appena due metri sotto la futura discarica. E poi le cave lì sono tredici, e quella che dovrebbe essere un’area naturale protetta rischia ora di diventare un deposito di immondizia dell’intera Campania. Serve altro?». La gente dopo gli incidenti è esasperata. Ce l’ha con tutti, politici in prima fila, di qualsiasi colore. Da Bassolino a Berlusconi, uno slogan al veleno non si nega a nessuno. Nel primo pomeriggio spunta Alessandra Mussolini, vorrebbe arrivare all’ingresso delle cave ma desiste. Troppa tensione. «Abbiamo parlato per venti giorni, non abbiamo più niente da dire», spiega a muso duro un ragazzo. Si fa largo la paranoia. «Hanno mandato la Mussolini come esca, per distrarci e forzare l’altro blocco, a monte delle cave», insinua qualcuno. Ma nel mirino finiscono anche l’Impregilo, che vinse l’appalto negli anni ’90 per le infrastrutture del ciclo di rifiuti, il quasi ex commissario straordinario per l’emergenza, De Gennaro, e persino la Chiesa «che non ha preso una posizione su questa vicenda», scuote la testa Anna. Nel clima di muro contro muro che si respira, mentre sopra le teste le pale degli elicotteri fanno da colonna sonora permanente, la sensazione è che lo spazio per una soluzione negoziale sia esiguo. E il faccia a faccia tra il popolo del «no» e Bertolaso potrebbe accendere gli animi. Salvatore Perrotta sindaco di Marano cammina in testa al piccolo corteo che sfila davanti al presidio della ormai celebre «rotonda Titanic». «Cosa mi aspetto dall’incontro di domani con il sottosegretario? Spero in un po’ di buon senso, che lascino digerire la scelta alla popolazione. Intanto vadano avanti con le altre scelte, la gente ha bisogno di tranquillità», spiega con la faccia tirata da questi giorni di quasi trincea. Alle 17 sul palo allestito alla piccola rotonda a forma di nave si improvvisa una conferenza stampa. C’è un ragazzo con al collo un portachiavi «no Dal Molin» che ipotizza che la Campania sia «laboratorio di tecniche per la repressione» e snocciola tesi dal sapore no global. Un altro sintetizza la chiusura tra manifestanti e istituzioni: «Noi non stiamo protestando stiamo solo governando i nostri territori, impediamo pacificamente di inquinarli». Anche se ogni tanto spuntano bandiere rosse e striscioni con la faccia del Che, tutti qui rifiutano un’etichetta politica.

«Non vogliamo salvare la faccia a Bassolino o alla Iervolino, non vogliamo dare a Berlusconi la patente di risolutore dei problemi. L’unica casacca che ci sentiamo addosso è quella di Napoli, del nostro territorio», spiega Francesco, uno dei rappresentanti del movimento.

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